22/03
Le donne del tennis, dolcemente complicate? Direi più schizofrenicamente complicate. La finale tra Jelena Jankovic e Simona Halep ce lo ha ribadito senza che ce ne fosse bisogno.
Partita tra due verbosamente nervose, che in campo mettevano in scena il loro consueto teatrino, con una differenza: quello della Halep era controproducente, quello della Jankovic la teneva sul pezzo. Il match iniziava in modo tirato con break e controbreak, poi la Jankovic prendeva il controllo delle operazioni, giocando meglio dell’avversaria e conducendo gli scambi come meglio non poteva sperare. Facilitata da una Halep fuori partita, che non solo si concedeva errori a raffica, ma non concretizzava nemmeno le situazioni di vantaggio che le si presentavano, sia sul proprio che sul servizio dell’altra. Così si compiva il 6-2 finale, con Halep che chiedeva aiuto per un piede malmesso. La cattiva conduzione era dovuta al problema al piede, al nervosismo, al nervosismo derivato dal problema al piede, dal problema al piede dovuto al nervosismo? Non lo so, ma, visto anche come si è conclusa la sfida, propendo per un nervosismo eccessivo, che si autoalimentava colpo sbagliato dopo colpo sbagliato.
Nel secondo set sembrava riproporsi la stessa situazione, ma tra un break e l’altro la scimmia saliva sulla spalla della serba e le suggeriva di andare via con la testa. Quella in campo non era paura di vincere, era terrore allo stato puro. Jankovic continuava ad alzare le traiettorie col dritto, tattica che prima pagava perché accompagnata dal resto, invece si metteva a fare solo quello, con la rumena che si stancava di sbagliare tutte quel tipo di palle. Il servizio la abbandonava, gli errori aumentavano, insomma ha fatto di tutto per dare il set per 7-5 alla Halep.
Nel terzo parziale si mettevano a produrre scambi duri e prolungati, con una Halep non certo in palla, ma che spingeva in modo più convinto, mentre Jankovic non ritrovava l’interruttore della luce. Ancora sagra di break, fino al 7-5 per la Halep. Se l’è meritata? Non lo so, sicuramente la serba non se l’è presa.
Annotazione a caso. Jankovic quando scende a rete non sa come e cosa fare, la terra di mezzo la inghiotte in imbarazzi senza fine. Il gioco di volo non trova pace in lei, mentre gli smash la esaltano, cosa rara tra le donne.
21/03
Orario improbabile, ma almeno la prima semifinale me la voglio guardare. La seconda scopro ad un certo punto che non la rimpiangerò: Serena Williams si ritira e spedisce Halep in finale, chiudendo così i battenti sulla storta favola a stelle e strisce.
In campo Jelena Jankovic contro Sabine Lisicki, per una partita il cui svolgimento pare già scritto: la prima a difendersi, la seconda a sparare come una forsennata. L’inizio match era brutto, si vedevano solo errori e break. Piano piano si assestava e lo faceva in maniera sorprendente, vedendo una tedesca che giocava in modo accurato. Naturalmente non faceva mancare mine terrificanti e qualche errore da sparacchiata, ma lo schema generale era differente. La Lisicki giocava a tennis, teneva gli scambi, si difendeva quando necessario, ubriacava di smorzate l’avversaria, serviva con accortezza e non solo per sfondare il terreno: insomma, devo dire che mi piaceva. Dall’altra parte la aiutava una Jankovic non in grande spolvero: errori che lei non si può permettere e risposta lasciata negli spogliatoi, il tutto condito dal classico nervosismo verboso. Così il 6-3 di Lisicki era meritato, la sua follia aveva trovato i limiti di una piacevole ragionevolezza.
Il copione del secondo set non pareva inizialmente differente, ma con una variante che di lì a poco avrebbe innescato la caduta della teutonica. Lisicki conquistava due volte il break senza riuscire a confermarlo nel turno di battuta successivo, ritrovandosi così su un 3-3 invece che a concedere l’intervista di fine partita. Luce spenta, i neuroni della Lisicki andavano in tilt e tornava a commettere errori gratuiti in eccesso. Dal canto suo Jankovic iniziava a rispondere decentemente e a tenerla in campo, tanto le bastava per chiudere sul 6-3. Dato significativo: le smorzate di Lisicki si sono perse nella mancanza di lucidità
Il terzo set vedeva il crollo della tedesca, che però non cedeva alla solita cieca follia, bensì si spegneva lentamente, lasciandosi scivolare l’incontro dalla racchetta. Tutto sommato scambiava, gli errori arrivavano dopo diversi colpi, non tirava all’impazzata come sua abitudine. Quasi che a quel punto avrebbe fatto meglio a ritornare ai vecchi orrori, avrebbe dato una maggiore impressione di provarci. Di contro Jankovic rinsaviva completamente e giocava bene, conducendo addirittura gli scambi, costringendo l’avversaria ben dietro la linea di fondo. Il 6-1 finale rispecchiava l’andamento, con la tedesca a fare tenerezza nel suo tentativo di rendersi più presentabile.
Che dire? Ci avevo creduto nel mondo parallelo che Lisicki stava proponendo. Il problema non è che lei abbia smesso di crederci, è che è un mondo che richiede testa e la sua fa acqua da tutte le parti. Rimane il rimpianto di non aver visto una Pennetta alle abbordabili prese di una Jankovic in sordina per un set e mezzo.
17/03
Simona Halep ha eliminato con un doppio 6-4, Karolina Pliskova. Incontro che ha percorso binari prevedibili, con copione che non lasciava spazio alle originalità delle interpreti, che per altro non si sarebbero prese la briga nemmeno sotto tortura.
Da una parte la ceca a menare, dall’altra la rumena a difendersi e poi costruire. Si può davvero farla breve: Pliskova tentava di chiudere lo scambio con il primo paio di colpi, se non ci riusciva il punto era della Halep. Il problema era che, presa dalla paura che si potesse andare oltre i tre colpi, Karolina sbagliava molto; se ci mettiamo che il servizio non ha funzionato gran che, il risultato è servito. Dall’altra parte una Halep che schizzava a destra e sinistra per prendere ogni cosa, rispondeva a tutto e, una volta riuscita ad avviare lo scambio, si costruiva il punto.
Il tennis femminile va in altra direzione, le nuove leve ci indicano che se non picchi non rosichi, ma il folletto rumeno si muove in direzione ostinata e contraria: non avere un braccio bionico non vuol dire per forza fatti da parte, si può essere diversamente protagoniste. Sono contento sia passata, in modo autorevole.
16/03
Sotto un sole che aveva tutta l’aria di essere cocente si è fermata l’avventura di Caroline Wozniacki. La mano quella della diciottenne Belinda Bencic, al primo successo contro una top 5. Il punteggio finale recita 6-4 / 6-4, ma non è veritiero: la svizzera ha dominato l’incontro, il risultato non è mai stato in bilico, andrebbe letto come un 6-2 / 6-2.
Ben sappiamo che nuove amazzoni stanno iniziando a cavalcare i primi successi, ragazzine dai colpi potenti e con la saggezza nel braccio. Belinda appartiene di diritto al gruppo delle emergenti, ma si defila: ha caratteristiche un po’ diverse, non fa della furia agonistica il suo credo. Oggi ha condotto l’incontro con intelligenza tattica e solidità dal fondo, ha fatto correre la danese, pressandola con sagacia e cercando gli angoli, per poi punirla con colpi precisi. Ben inteso che qualche accelerazione la ragazzina l’ha sfornata, ma non ha la potenza delle colleghe più arrembanti, piuttosto il punto se lo costruisce, per rischiare quando è utile.
In questo matcth si è scambiato molto, quasi ad ogni punto. Uno dice: allora è la Wozniacki che ne è venuta fuori, esperta e solida com’è. Invece no, gli scambi erano tutti in mano alla Bencic, che li gestiva con intelligenza, senza fretta e senza inutili errori. Piuttosto era la danese a sbagliare come non mai e se si mette a sbagliare ha davvero poco da dire. In più ci metteva una battuta ballerina, che trasformava ogni gioco al servizio in un’agonia, così la ricetta per la cottura a fuoco lento era bella che servita. Insomma Caroline era spenta, Belinda non si impietosiva né si distraeva, quale altro epilogo si poteva prevedere? Forse un calo di concentrazione della giovanissima, un’inclinazione alla paura della vittoria, un accenno di indecisione. Piccoli spiragli in tal senso ci sono pure stati: dal 4-3 e due palle break Bencic, al 4-4; oppure le prime dimenticate sulla sedia negli ultimi due turni di servizio. Ma se dall’altra parte la giornata butta male, i potenziali pericoli si scampano.
Così, tanto per dire, abbiamo visto una ragazzina che non disdegna difendersi, che conosce il significato di: non è che tutte le palle che mi passano a tiro le meno per menarle. Certo non abbiamo visto estro, ma di quante possiamo dirlo? A rete no, non ci vuole proprio andare, anche quando la costruzione perfetta del punto lo richiederebbe. Non solo, la si è vista più volte accennare e tornare indietro, come a dire: sì lo so che ora dovrei andarci, ma non so bene come arrivarci. Il tempo è dalla sua parte, i margini di miglioramento sono ampi, sale in zucca pare averne. Non è mica una ventiquattrenne presuntuosa di cui in patria si parla come se il futuro non arrivasse mai.
15/03
Oggi non mi sono dedicato alla visione di nessuna partita intera: tra impegni mattutini, seduta di Fifa con il mio compagnuccio di giochi e strameritato pisolino pomeridiano, pensavo di mettermi davanti a quella delle undici di sera. Non avevo dato un’occhiata al programma e, a primo set concluso, in uno zapping estemporaneo, mi sono reso conto che Heather Watson stava battendo Agnieszka Radwańska. A monte tutti i frivoli programmi, ci si inchioda all’incontro.
Il primo parziale si era chiuso 6-4 per la britannica, che si portava pure 2-0 nel secondo. Ma Aga pareva prodursi in un moto di orgoglio esplicitato nel gioco, 4-2 e servizio per la Maga. Ecco come rendere la domenica meno amara dopo le sconfitte alla Playstation del mio Crotone. Dai Aga, andiamo a vincerla. Macché, Watson si esibiva in un’infilata di quattro giochi consecutivi e vittoria inaspettata.
Non starò a insistere sul mio umore, non tanto per questa sconfitta in particolare, quanto per l’involuzione di Radwańska dagli scorsi Indian Wells in poi. Nessuno pretende che vinca uno slam, a noi piace così com’è, perdente di classe. Però la regolarità di risultati che l’aveva portata ad ottenere un’ottima classifica si è smarrita, come il suo gioco. Non è più lei, perché va bene saper difendere, per le nuove leve pare una bestemmia ma nel tennis bisogna saper difendere, però l’iniziativa non può essere ridotta pressoché a zero. Non mancano le giocate speciali con cui titillare la voglia di bellezza: si veda, per esempio, la palla corta con cui ha chiamato a rete la britannica per poi superarla con un mezzo pallonetto di volo; dio mio, la maggior parte delle tenniste non arriva neppure a pensarle certe cose. Detto questo non si può continuare a perdere certi incontri, o meglio si può ma si viene impietosamente ridimensionate.
Concludo il mio sfogo con qualche osservazione.
È chiaro che ci sono nuove leve che si stanno facendo avanti, giovani amazzoni armate di turbobraccia difficili da contrastare, che se sono in giornata ti percuotono pure le intenzioni. Ma la Watson non era tra i nomi caldi; per carità, giovane in discreta ascesa, ma senza gli exploit di altre ragazzine.
Ho visto Aga sbagliare tanto, troppo persino per una qualunque, figuriamoci lei che fa della solidità una delle sue armi per eccellenza. Se si mette a sbagliare così tanto si va davvero poco lontano.
La partita era tranquillamente alla portata. Lo dimostrano i quattro giochi consecutivi del secondo set: ha alzato un attimo il livello e se n’è andata via. Peccato la luce si sia spenta presto. Pare una costante dell’ultimo periodo, la testa non è un suo punto forte in questo momento.
L’iniziativa, questa smarrita. Va bene tessere la propria tela, va bene difendere con la leggiadria di una farfalla, però del tutto rinunciataria no. Puoi far sbagliare molto le altre, ma i punti te li devi anche prendere. Lo sa fare molto bene e con stile che si distingue da tutte: meno arrembante e più ragionato e arioso, ma sempre di iniziativa si tratta. Ultimamente mi è diventata troppo rinunciataria.
Concludo qui, non perché sia stato esaustivo, ma perché credo di essere stato noioso oltre i limiti.
Martina, proteggila tu, spronala se necessario, ma poi metti una buona parola con le altre divinità. In ogni caso non dispero, la mia birra davanti alle partite di Aga ce l’avrò sempre, perché comunquemente e quantunquemente quando, in qualche punto, si prenderà gioco di una delle tante macchinette programmate, vorrò essere pronto ad esultare col mio rutto più potente.
15/03
Maria Sharapova passa per 6-1 / 7-5 su Yanina Wickmayer. Ho preso il match solo al secondo set, ma il punteggio non lascia dubbi sull’andamento del primo parziale: deve averla presa a pallate.
Nel secondo la russa non ha avuto mai problemi sui propri turni di servizio, mentre per la belga è stato sempre complicato tenerli, eppure ha protratto la gara al di là delle difficoltà.
Commentare Sharapova mi riesce sempre difficile, per quella monotonia che si porta dietro il suo tennis, non lontana forse da quella di molte colleghe, ma che in lei trovo più compiuta. In una incontro che non ha avuto sostanzialmente storia, annoto un paio di cose a caso. Nonostante la manifesta superiorità, nel secondo set Sharapova non è stata incisiva sulle palle break a disposizione; di più, ha chiuso solo al sesto match point, manifestando indecisione su alcuni dei cinque precedenti. Wickmayer produce con costanza uno strano verso ad accompagnare lo sforzo fisico, eppure le urla da scorticamento di Maria restano di gran lunga più fastidiose. Su un paio di palle corte dell’avversaria la russa si è mossa davvero in modo goffo, quando deve scattare in avanti è molto macchinosa: da un lato la struttura fisica non la aiuta, dall’altro mi viene da supporre che la sua mente non ne vuole sapere di avvicinarsi alla rete e quindi comunica con forza al corpo la propria reticenza. Ad un certo punto, come un’anomalia insensata, Sharapova si è prodotta a sua volta in una palla corta: goffa a mal riuscita, ma ha conquistato il punto, forse l’avversaria ci ha messo troppo tempo a capire che stava succedendo veramente. Terzo turno che vedrà la russa contro Azarenka: non credo che quanto ho visto oggi basterà.
14/03/15
Tornato dal concerto di Brunori, di cui ho lasciato il racconto al mio compare (clicca qui), mi sono piazzato sul divano nell’attesa dell’incontro delle 3.00, a quel punto…
Dopo quattordici anni Serena Williams torna a Indian Wells. Erano razzisti, non lo sono più, lo erano ma non in quella occasione, lo sono ancora ma oggi lo mascherano: questioni accantonate dal grande rientro, risolte dall’ovazione che ha accolto la campionessa, se ritorneranno a galla sarà oramai in altri contesti. Vittima sacrificale Monica Niculescu, l’affettatrice di dritti. O almeno così doveva essere, un agnellino gettato in pasto alla belva nell’arena. Alla fine la statunitense l’ha spuntata, ma non nella maniera banale che un po’ tutti vedevano scritta.
Pronti via, Serena non ci capiva un accidente, le palle diverse della rumena disorientavano una Williams non in palla. Subito break per Niculescu e occasione per portarsi sul 3-0: ma mandava sciaguratamente sul nastro un comodo rovescio al volo sotto rete. A quel punto la battaglia aveva un nuovo inizio e si protraeva fino al 7-5 per Serena, con break decisivo ad un passo dal tie break. Serena sbagliava davvero molto. Non era in palla, paventati problemi fisici, le traiettorie infide dell’avversaria, il servizio a mezzo servizio, la tensione per il ritorno su quei campi, vai a sapere cosa abbia influito di più e cosa mi sto immaginando. Fatto sta che è stato un parziale molto lottato, anche se tendente al ribasso. In tutto ciò chi aveva da recriminare era proprio Niculescu che, oltre a quella sopra citata, ha giocato male altre palle break, non poche, soprattutto se si tiene conto a chi doveva rispondere.
Naturalmente quale pensiero si imponeva? Ora se la mangia viva, chiude il secondo senza che me ne accorga. Invece la battaglia è continuata, con la piacevole sorpresa di un gioco migliore: i punti belli a vedersi non sono mancati, ma in generale si giocava meno sugli errori. Sul 5-5 Williams buttava alle ortiche due match point, per chiudere poi con un ulteriore 7-5 al quarto tentativo.
Vista l’ora tarda non posso che ringraziare le ragazze per aver dato vita ad una gara intensa, in sospeso fino all’ultimo, non banale. Da segnare a futura memoria: non è che per sconfiggere o quantomeno mettere in difficoltà la Williams è necessario tirare più forte di lei; serve sicuramente una sua giornata non drittissima, ma a quel punto si può provare a giocare a tennis e non menare senza soluzione di continuità.
12/03/15
Dispiace che Francesca Schiavone abbia perso l’incontro con Lin Zhu; non tanto per sentimento patriottico, ma perché era alla sua portata, sarebbe stato sufficiente giocare un poco meglio.
Ingannevole il primo set più d’ogni cosa, portato a casa dall’italiana con un netto 6-0, senza se e senza ma. Ben 19 gli errori non forzati della cinese, a Francesca bastava mettergliela di là con criterio ed il punto veniva da sé.
Proprio per questo il risveglio del secondo set è stato brusco, con immediato break della Zhu difeso fino al 5-3 servizio Schiavone. L’italiana sembrava in stato catatonico, perché è vero che l’avversaria ha smesso di tirarle tutte fuori e ha piazzato qualche buona accelerazione, ma francamente una Schiavone poco più concentrata non avrebbe subito una così. Sul 5-3 Francesca concedeva due palle break, quando l’impossibile si è materializzato sul campo. Sia ben chiaro che la sconfitta non deriva da questo episodio, ma l’errore arbitrale che chiudeva il parziale a favore della Zhu è stato davvero imbarazzante: se l’arbitro lo dovesse rivedere nei filmati attenterebbe alla vita di chi l’ha piazzato su una sedia troppo alta per lui. Il fatto: palla corta della Schiavone, Zhu si allungava nel recupero riuscendo a colpire prima del secondo rimbalzo, ma il suo colpo sbatte direttamente nel suo campo per poi finire dall’altra parte, il tutto sotto gli occhi del sedicente arbitro. Ma come stradiavolo fai a non vedere una cosa del genere, devi essere disonesto con te stesso. Francesca provava anche a far ammettere all’avversaria l’accaduto, facendole notare che era tutto filmato e quindi la figura di merda si stava concretizzando irrimediabilmente. Insomma, c’era una volta una cinesina poco incline alla sportività, un uomo per nulla incline al pudore percettivo e un’italiana che perdeva il secondo set.
Il terzo set è stato giocato più di nervi che d’altro, con la cinese che lo chiudeva sul 6-3. Ancora una volta però dobbiamo registrare una Schiavone sprecona, con diverse palle break a disposizione giocate male male, con errori senza senso, con una posizione in campo troppo arretrata, con una profondità dei colpi latitante. Eppure non sarebbe servito molto di più, davvero.
Rimane il rimpianto, perché se è chiaro che la carriera di Francesca è al tramonto, ci piacerebbe gustarcela il più possibile e, qui ad Indian Wells, si poteva tirare almeno un’altra partita
11/03/15
Heather Watson batte al primo turno Julia Georges, non potendo però esimersi dal ringraziarla; la noia invece abbatte il poco pubblico, per fortuna di quest’ultimo ancora non numeroso.
Ho beccato il match sul 3 pari del primo set, ma capire cosa stava succedendo è stato facile: si giocava a fare più errori dell’avversaria, con la tedesca nettamente superiore. Il 6-4 del primo set a favore di Watson era dovuto al numero considerevole di sbagli della Georges, ma non errori di poco, le sparava fuori proprio male quelle palline. Così ha avuto la meglio il tennis più ragionato della britannica, non che ci volesse molto, la quale si è limitata a sbagliare di meno e a rimandarla di là con un minimo di criterio, di cui non difetta nella costruzione del punto.
Secondo set sulla stessa falsa riga, con la Watson che si ritrovava in mano l’incontro senza sapere perché: break che la portava sul 5-3. A quel punto il buio, la britannica ha abbandonato ogni velleità agonistica e la Georges ha iniziato a tenerne qualcuna dentro, assicurandosi il set per 7-5.
Il terzo set cominciava con il break della tedesca, facendo pensare ad un’inerzia ormai girata, con una Watson ancora stordita. Ma il controbreak era immediato, così, tra errori grossolani dell’una ed errori stanchi dell’altra, si giungeva ad un nuovo break per il 5-3 che portava la britannica a servire per il match. A quel punto Georges decideva che era abbastanza, esibendo gli ultimi orrori del campionario e risparmiando alla Watson il panico da vittoria.
Insomma partita tutt’altro che spumeggiante, dove mi piace vedere la rachitica vittoria di un minimo di criterio sulla cieca volontà di sopraffare.
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