Pillole di Miami 2015

04/04
Finale di Miami dall’esito scontato? Sì. Serena Williams regola agevolmente Carla Suarez Navarro in due set. Non sono tra quelli che ritiene Serena imbattibile, d’altronde non dovendoci giocare contro me lo posso permettere, ma oggi non c’è stata proprio storia. Demeriti della spagnola? Forse quello di non crederci, però sarebbe uno stare qui a non voler riconoscere il dominio dell’americana: mi ci metterei anche, ma a breve incomincia la partita delle Juve.
Primo set che fino al 3-2 aveva seguito il ritmo dei servizi, poi Williams accelerava andando a brekkare sul 4-2, con Carla che sbagliava ben cinque rovesci non particolarmente complicati: ma dobbiamo capirla, a cercare di giocare lungo con il timore costante di prendere sberle non è facile Il match si chiudeva sostanzialmente lì, Serena si era sbloccata e Navarro doveva arrancare senza meta. Il parziale si concludeva con un 6-2.
Secondo set che si apriva con Serena che concedeva una palla break nel game di avvio. Fosse mai successo, era come mettere il rosso davanti al toro. La Williams sfoderava due ace e un servizio vincente. Punto, 6-0 e a festeggiare. Anche perché la spagnola non ci ha più creduto, ma ancora una volta la scusiamo: chi di noi ci avrebbe creduto? Oddio, un po’ più di resistenza si poteva tentare, ma si sarà detta che sforzarsi troppo, a partita ormai andata non le avrebbe fatto gustare le birre fresche di stasera.

Una Williams non debordante nei turni precedenti si porta a casa l’ennesimo torneo, che comunque ci restituisce una Suarez Navarro in una ascesa che non credo si bloccherà, non ora che arriva il rosso.

02/04
A guardare la finale povera, che Williams contro Halep la mandano ad orario proibitivo. Allora scopriamo un po’ che partita ci propongono Andrea Petkovic e Carla Suarez Navarro, uno dei pochi rovesci ad una mano femminili, da proteggere come specie in via di estinzione.

Molto semplice: la cavallona tedesca non è riuscita ad entrare nel match, il brutto anatroccolo si è fatto cigno, perché già raggiungere la finale per lei significa metamorfosi compiuta.
Che per Petkovic non sarebbe stato facile lo si è capito fin dal primo game, che ha giocato al servizio: lungo e con tre palle brealk a favore della spagnola, infine conquistato da Andrea. Ma nel corso del set Petkovic concedeva due break, con Suarez Navarro a chiudere sul 6-3. Carla conduceva il ballo, faceva la partita in lungo e in largo, spingeva con un dritto divenuto davvero arma importante. Sbagliava è vero, quanto l’avversaria, ma si concedeva più vincenti: d’altronde per essere propositiva qualcosa si deve pur concedere alla fallibilità. Dall’altra parte Petkovic sbagliava molto, anche alcuni colpi al volo che invece di chiudere il punto lo regalavano, senza però trovare spinta nei colpi che teneva in campo. Di certo la tedescona non era in gran giornata, ma la varietà della Navarro, che sfruttava tutto il campo (pensa un po’, non esistono solo le linee di fondo), non le davano molti punti di riferimento.
Petkovic entrava nel secondo set più decisa, spingeva i colpi con maggior peso, si sarà detta: perdere per perdere, proviamo almeno a metterla in difficoltà; ci stava, quello è il suo tennis e non provare ad attuarlo non aveva nessun senso. Ma i suoi turni di servizio erano tutti in sofferenza, mentre la spagnola teneva i propri più agevolmente: insomma, cambiava le carte in tavola a vuoto. Non si aveva mai la sensazione che l’inerzia dell’incontro potesse girare, il vento soffiava in spagnolo senza sosta. Così Carla si portava con un break sul 4-2. Ed ecco la potenziale svolta, concessa dalla Navarro piuttosto che conquistata dalla Petkovic. Il classico braccino si impossessava di una Navarro fino a quel momento solida, tirava poco e tirava male, si faceva mozzarella aggredibile e fallosa. Ma Petkovic era così poco in giornata da non riuscire a sfruttare la buona possibilità, continuando a sbagliare anche quando sarebbe bastato metterla di là, che il punto glielo avrebbe regalato con affetto l’avversaria. Scampato il pericolo la spagnola tornava a condurre gli scambi, la tedesca, ormai in bambola troppo prolungata per uscirne, tentava di alzare la palla, ma diciamola: non è capace. Così si chiudeva con un altro 6-3 e con Suarez Navarro, per la prima volta in carriera, tra le prime dieci, scalzando proprio la Petkovic che a fine partita comunque la abbracciava affettuosamente.

01/04
Andrea Petkovic in semifinale con Carla Suarez Navarro: quest’anno non ho visto nessuna delle due, ma la spagnola, in giro per web e telecronache, la danno in netta ascesa. In compenso mi sono gustato l’ottavo tra Sloane Stephens e Belinda Bencic, portato a casa dalla prima alla fine di due set molto giocati: la svizzera deve necessariamente trovare il modo di chiudere i punti (la rete sembrerebbe la via naturale di molte sue precise costruzioni) e di non innervosirsi come contro la Stephens; l’americana davvero brava, quando c’era da picchiare ci dava dentro, quando c’era da correre indossava gli abiti rubati alla Wozniacki, la testa le reggerà?

 Ma quello che vi racconterò è il quarto di finale tra Serena Williams e Sabine Lisicki. Si saranno prese a botte? Sì e no. Williams ha provato fin dall’inizio a chiudere i punti in pochissimo, ma si trovava di fronte al problema di essere molto fallosa e di non trovare troppe prime. E si trovava a dover affrontare una Lisicki accorta, con la voglia di rincorrere la palla e la capacità di difendersi. Non solo, pure conservativa, non forzava inutilmente e tirava quando ne valeva la pena, capace pure di rispondere bene e di qualche variazione nei colpi: il nuovo corso della tedesca ci sta regalando una tennista più completa, niente affatto spara e spera, un’avversaria pericolosa per chiunque. Unica pecca, viene da dire, quella prima troppo conservativa, perché va bene non farsi aggredire dalla Williams sulle seconde, ma se le seconde sono già le prime riesce difficile conservare i break che sorprendentemente Serena lasciava per strada. Dopo diversi break, Lisicki si trovava a servire per il set sul 6-5, ma non concretizzava nonostante la palla set. Così il tiebreak veniva agguantato da Serena per 7-4, che si trovava avanti di un set nonostante i molti errori e l’avversaria in palla.
Il secondo parziale cominciava con un break per l’americana e tu ti dici: ecco che Sabine crolla, la sua amata instabilità è già sull’uscio delle intenzioni e attende solo un invito scontato. E invece no, la tedesca non crollava, anzi… controbrekkava subito e addirittura si lanciava in una serie di sei giochi consecutivi. 6-1 alla numero uno indiscussa, niente male. Diciamo che ha raccolto tutto in un set quanto aveva fatto di buono fin dall’inizio. Sì va bene, non era una Serena in gran forma, sbagliava tanto e male, una Williams in forma non le avrebbe mai prese così e bla bla bla. Ma nessuna è mai costantemente in piena forma, il servizio che non entra capita a tutte, insomma: se tutte giocassero sempre al 100% probabilmente vincerebbe sempre lei, ma non è così e non lo è in nessuno sport. Dunque, dare 6-1 alla Williams è sempre valido.
Naturalmente nel terzo set l’americana si riprendeva fin dall’inizio e conquistava il break del 2-0; ma la tedesca non mollava, si faceva più aggressiva e smetteva di servire alla Errani. Entrambe ritrovavano il servizio, concedendo poco a quella di turno in risposta, ma c’era un fatto di cui tener conto: Williams si era già presa il break decisivo, quello che l’avrebbe portata al 6-3 conclusivo.
Brava Lisicki, quest’anno ho visto due sue partite e mi pare si possa parlare di nuovo corso, meno folle e più intelligente: se dovesse mantenere dritto il timone io me la riguarderò con piacere. La Williams vista oggi non vincerà facilmente il torneo, è anche vero che, pur non in giornata, ha sconfitto un’avversaria che ha giocato bene: probabilmente le basterà innalzare un minimo il livello, forse.

30/03
Davanti a Venus Williams contro Caroline Wozniacki, che non l’ha mai battuta. La Venere nera si muove come una vera panterona, felpata e calma, con eleganza selvaggia. Riassumiamo subito: la danese è stata impallinata.
Primo set che iniziava con una serie di break interrotta dalla Williams per andare sul 4-2, chiudendo infine sul 6-3 con aggiunta di ulteriore break. Parziale che risultava falsamente equilibrato: in campo una sola giocatrice, la statuaria statunitense. Faceva e disfaceva tutto lei, bombardava il viso pallido dall’altra parte della rete, tutto stava a capire se dentro o fuori. I punti erano solo cosa di Venus, avversaria in completa balia dei fendenti che più di una volta si trovava tra i piedi. Si scambiava poco, solo quando la Williams decideva di frenare un minimo e succedeva di rado. Troppo forti quelle palle, troppo ben piazzate per poterle contrastare. Troppo passiva Wozniacki? Può essere, ma davanti a colpi così ben giocati difficile dire se avesse alternative alla resa incondizionata.
Secondo parziale sulla stessa falsariga. Venus ancora a martellare e Wozniacki a difendersi in modo disperato, nell’attesa dell’errore dell’altra. Eppure è proprio il suo attaccamento alla partita a far sì che ci fosse storia, fino a recuperare un 40-15 su servizio Williams e brekkarla, in un game ripartito tra difesa a oltranza, colpi fortunosi e qualche trovata degna. Ma il break veniva subito restituito e poi ripreso, con Williams che commetteva errori banali. Si scambiava di più, grazie all’accanimento della Wozniacki che trovava una difesa più solida e grazie all’americana che sparacchiava più spesso oltre le linee. Così la danese si trovava, senza sapere come, a servire per il set sul 5-4. A quel punto Venus diceva no, riprendeva a martellare dentro i limiti del campo, brekkava e andava 40-0 sul servizio, ma qui si spegneva senza preavviso: commetteva tre, dico tre, doppi falli consecutivi e sbagliava scarichissima le due palle successive, concedendo il break. Blackout fisico o mentale o entrambi? Non lo so, fatto sta che nel momento di servire nuovamente per il set Wozniacki si vedeva di nuovo investita e costretta al tie-break. A quel punto Venus sapeva di non potersi permettere un terzo set e tirava bombe a mano senza soluzione di continuità, con la danese che impaurita commetteva pure un paio di errori evitabili, così il 7-1 era veniva scritto.

29/03
Ho affrontato lo scontro generazionale, il possibile passaggio di consegne, il passato che lascia spazio al futuro. La quasi sedicenne Catherine Bellis affronta Serena Williams. Ho visto la Bellis dal vivo al Bonfiglio e ho capito al volo il talento della ragazzina pronto ad esplodere. Si vabbè, ma che potevo saperne io, mica ho le competenze per distinguere il talento in erba rispetto ad un falso positivo. Però vi assicuro che un giorno, se questa diventerà numero uno, io mi bullerò di averla vista e capita quando ancora non era nessuno.
Il match? La ragazzina, con le sue scarpine Chicco, deve ancora correre per un po’ nel sole. Anche solo visivamente la differenza saltava agli occhi: sembravano due specie differenti, probabilmente Serena la potrebbe ingoiare intera. Poco male, non sarà questo incontro a bloccare la crescita della Bellis, oggi è ancora l’era Williams. Il 6-1 / 6-1 finale è così come lo leggete, dominio assoluto, troppo tesa la ragazzetta, troppo potente il donnone.

29/03
Di ritorno da Mestre, viaggio tutto bene grazie (ho cenato con un leggerissimo Apollo), mi piazzo subito davanti al televisore. In auto mi aggiornavano sulla vittoria di Flavia Pennetta, ma io devo accontentarmi di Sara Errani contro Garbine Muguruza. La fortuna è di ritrovare il match praticamente al terzo set, o meglio sul set point Errani, che aveva ceduto il primo parziale per 6-4. Credo che il primo punto a cui ho assistito possa riassumere l’incontro: Errani serviva una seconda che era una palla corta venuta male, Muguruza si avventava sulla palla per spararla lontano dalla riga: 6-4 per l’italiana.
Il terzo set iniziava con break Errani, controbreak Muguruza e ricontrobreak Errani. Un quarto gioco molto lottato, con due palle break annullate dall’italiana, portava Sara sul 3-1. Punto, match concluso, poiché la Muguruza prendeva la via delle fragilità mentali e, credo, dello spossamento fisico.
Cosa dire? Per quel che ho visto Sara se l’è meritata. Si è messa ben dietro la riga di fondo a difendere, provando a far male quando ne aveva la possibilità. Dall’altra parte Muguruza perpetrava l’eterna follia di voler colpire tutte le palline come fossero l’ultima della vita, sbagliando inevitabilmente di tutto e di più. Era chiaro il nervosismo della spagnola, che si chiedeva come non riuscisse a sfondare quella nanetta oltre la rete. La risposta stava nella difesa efficace della Errani e nell’impazienza senza senso della spagnola, che a furia di sparare come una matta andava stancandosi e sbarellando, ogni game di più.
Muguruza a rete mi ha fatto vedere colpi buoni alternati a robe terribili, tipo un serve and volley giocato con rovescio al volo in rete invece di una classica, ma sempreverde, volée. Dubito che lavorerà su queste situazioni di gioco, sarebbe inutile mettersi a spiegarle il perché.
Brava Errani. Non sto nemmeno a dire quanto non ami il suo tennis, però con i mezzi tecnici e fisici che ha a disposizione ha fatto tutto ciò che era in suo potere. E guarda caso, quell’altra che ha potenzialità infinitamente superiori si è piegata sulla sua stessa cocciutaggine.

28/03
In trasferta a Mestre per lavoro. L’albergo in cui alloggio ha due grandi vantaggi: è a due passi da dove devo lavorare e in stanza ha un televisore grande e che si vede bene. Dopo una cena nello stesso ristorante di sempre quando mi presento a Mestre (se nelle trasferte mi togliete le abitudini non mi ci mandate), ne approfitto per seguire Serena Williams contro Monica Niculescu. Sì proprio l’affettatrice di dritti, la stessa che a Inidian Wells ha fatto vedere i sorci verdi a Serena, la stessa che ci dimostra come l’omologazione non è un obbligo ma una scelta.
Prendo il match sul 3-3, con il telecronista che mi informa di una piccola rimonta della rumena. Williams si portava subito sul 5-3, ma la si vedeva ancora in sofferenza. Questa Niculescu, che si permetteva addirittura di sputarle in faccia un paio di c’mon, non le va a genio, non gradisce le palle che le propone con il dritto, che la fanno sbagliare. Non solo, la spaesavano, si ritrovava, più di quanto non vorrebbe qualsiasi attuale tennista, costretta a scendere a rete dovendo giocare palle basse e infide e la Williams a rete non è quella impeccabile da fondo. Sul 5-3 l’americana veniva invischiata in un game complicato, con Niculescu che si guadagnava tre palle break, su cui il servizio della Williams faceva la differenza. Una Serena che per chiudere il gioco provava addirittura, senza costrutto, un serve and volley, quasi che, esasperata dalle triettorie dell’avversaria, non volesse proprio vedere quel dritto una volta di più. Alla fine Serena chiudeva sul 6-3.
Secondo set che nel risultato filava liscio per la numero uno, con un 6-1 di fatto, ma non di sostanza. Perché Niculescu rimaneva attaccata alla partita con tutte le sue forze, non mollava nessuna palla, ci provava fino in fondo. Certo, i suoi game di servizio erano costantemente in sofferenza, ma non per questo si dava per vinta. Serena il parziale se l’è dovuto conquistare un po’ più di quello che recita il punteggio.
Insomma, l’incontro si è svolto con la Williams a menare come una disperata, cercando di attaccare l’avversaria ai cartelloni di fondo campo; dall’altra parte una Niculescu che remava lontana dalla linea di fondo, attaccata agli scambi con i denti e cercando, appena possibile, soluzioni per uscirne.
Io, però, a questa Niculescu inizio ad affezionarmi, se solo sapesse giocare il dritto in più di un modo… Ma trovo che insegni qualcosa alle altre che invece hanno più potenzialità: con Serena Williams non puoi fare a botte, devi trovare soluzioni meno banali del solito. Ma trovare una via di fuga dalla banalità pare una bestemmia per queste tenniste che girano.

Mentre scrivo è in campo Venus Williams, in vantaggio di un set e un break sulla Stosur. La Venere nera sta sfoderando alcuni colpi da un passato che a tratti si riaffaccia in tutta la sua meraviglia.

26/03
Alle 16,00 mi trovavo al lavoro, quindi ho potuto seguire Aga solo in sostanziale radiocronaca, con qualche puntata sulle immagini qua e là. Così a spizzichi e bocconi non posso certo esprimermi, sempre che guardando le partite meriti di dire la mia. Comunque a spanne, contro Schmiedlova, non è parsa una Radwanska in gran spolvero, più che altro ha giocato sul mestiere.

Stasera, invece, davanti a Caroline Wozniacki contro Madison Brengle. C’era il sole, c’era il vento e c’era una tennista bionda; esatto, solo una, l’avversaria è scesa in campo per timbrare il cartellino, sempre che quello che si è visto si possa definire timbrare. Il risultato finale recita 6-0 / 6-1 per la danese, un allenamento con contorno di pubblico.
Brengle si metteva da subito a scambiare dal fondo, scambi lunghi e privi di accelerazioni che avevano un unico possibile sbocco: il punto della Wozniacki. Se ti metti a palleggiare con Caroline non ne esci più e non si vede come l’americana potesse rappresentare un’eccezione. Tanto per dare la fotografia del primo set, Brengle lo chiudeva con 14 errori gratuiti e ben 0 vincenti: quasi l’avesse presa come una missione.
Uno dice: dai, prova qualcosa di diverso, tenta di farlo sto punto. Ad un certo momento l’aveva capito anche lei, non l’avevano mica drogata prima di scendere in campo. Ma se sbagli tutto, se ogni volta che acceleri non centri nemmeno il campo del doppio, se ogni volta che tenti una volée la rete se la mangia, beh non puoi farci nulla.
Ad un certo punto Wozniacki, nel secondo set, chiamava il padre per farsi consigliare. Ma su cosa? Su come provare a perderla? Per concedergli una passerella? Per decidere dove mangiare a Pasqua?

25/03
È iniziato il torneo di Miami. Mi sono ritrovato a seguire Victoria Azarenka contro Silvia Soler-Espinosa. Cosa volete, ho un lavoro da tenere e questo era l’incontro nelle mie possibilità oggi.
Tutto come previsto. Una Azarenka, costretta a giocare il primo turno, ha vinto comoda e ritroverà al secondo turno Jankovic: questa sua classifica, forzata dall’infortunio patito, permette incroci impensabili a questo livello dei tornei. Un problema sia per Azarenka che per le avversarie di turno.
Il match si potrebbe riassumere con i due diversi versi prodotti dalle tenniste in campo: quello acuto e aggressivo della bielorussa contro quello più sommesso e sofferente della spagnola, il primo mangia il secondo (se invece ne vuoi sentire altri, clicca QUI).
Primo set facile facile per Azarenka che chiudeva 6-1, concedendosi persino una palla corta vincente ben eseguita. Nella non partita mi soffermavo sui raccattapalle, che mi sembravano avere un’età media più alta del solito: non ne sono ancora sicuro, curerò quest’ipotesi nel proseguo del torneo.
Nel secondo set Soler-Espinosa ci metteva il cuore, arrivava fino al 3-2 con break di vantaggio. Personalmente sul 2-1 e break mi assentavo per stendere i panni, non troppi ma sono a corto di pantaloni: devo assolutamente vincere la mia ritrosia verso lo shopping, che in questi casi può assumere lo status di necessità. Comunque, a parte la sbandata dovuta ad un minimo di distrazione, Azarenka riprendeva a macinare game fino al 6-3 finale.
Troppa differenza nel peso della palla per esserci partita. La spagnola si è impegnata e le va riconosciuto di averci provato nonostante l’esito del primo parziale. Vika testerà se Jankovic sarà scarica dalla finale di Indian Wells o se invece conserverà lo stato di forma che a quella finale l’ha portata.

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Su Giuseppe Ponissa

Aga la maga; racchetta come bacchetta magica a magheggiare armonie irriverenti; manina delicata e nobile; sontuose invenzioni su letto di intelligenza tattica; volée amabilmente retrò; tessitrice ipnotica; smorzate naturali come carezze; sofferenza sui teloni; luogo della mente; ninfa incerottata; fantasia di ricami; lettera scritta a mano; ultima sigaretta della serata.

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