Si è consumato con un grande plebiscito lo sbarco sulla piattaforma digitale Netflix della serie TV più attesa dell’anno, ovviamente se si esclude Game Of Thrones.
I motivi per parlare di Stranger Things 3 sono molti non solo artistici, anzi vista la mole di spazio pubblicitario e di presenza nelle vite del pubblico, quello che sta attorno alla main business di Netflix ormai il contorno è quasi più importante della sostanza.
Annunciata in pompa magna Stranger Things arriva nel 2019 dopo che il 2018 si era concluso per Netflix, che è produttrice assoluta della serie, con un buco nei conti di bilancio abbastanza pesanti. Strano verrebbe a dire, ma Netflix non è quella piattaforma che tutti, ma soprattuto un pubblico molto giovane nota bene, hanno a casa? Con la sua politica dei 7,99/10,99 non ha conquistato tutti? Sì e no. Di sicuro qualcosa sarebbe cambiato aveva pronosticato la società americana, ed in effetti qualcosa è successo a partire dall’aumento che si verificherà ad Agosto di un euro per tutti gli abbonamenti. Aumento che di certo non va ad intaccare la popolarità ne tanto meno l’immagine di Netflix, ma che pure segna un passaggio, un bisogno.
Rimane il fatto che Netflix negli ultimi anni ha rappresentato una vera e propria rivoluzione nel campo dello streaming, riuscendo a portare con prezzi del tutto ragionevoli (se non vogliamo dire basi) prodotti di qualità, originali. Strangers Things su tutti rappresenta la politica messa in campo da Netflix, costato tra i 6 e i 10 migliori a serie, dimostra l’intenzione della società americana di non rientrare in tempi brevi dell’investimento ma bensì di fidelizzare un pubblico, creare un target.
Così è stato in effetti, e Stranger Things con la sua storiella di ragazzini è finita a giocarsela con serie molto più blasonate (e costose) quale appunto la già citata Games Of Thrones. I risultati però non si sono fati attendere e alla sua prima uscita su piattaforma Stranger Things ha fatto subito il botto con ben 40 milioni di visualizzazioni in soli quattro giorni. È evidente quindi che Stranger Things sta giocando una partita differente nel posizionamento e nella filosofia di Netflix, questo vale anche paragonandola a fenomeni di successo come The Umbrella Academy e Sex Education, che in Italia sono meno sentite rispetto alla serie dei ragazzini di Hawkins, nell’Indiana.
Per questo come, spesso accade, la Soundtrack è chiamata a disegnare un immaginario chiaro e forte in cui il pubblico possa rivedersi e sentirsi targettizzato (ahimè, ormai l’ho scritto).
Così nella colonna sonora troviamo dei grandi classici degli anni ottanta mescolati alla colonna sonora originale firmata da Kyle Dixon e Michael Stein. Partendo proprio dai pezzi composti appositamente per la serie, ovvio che i riferimenti e la produzione fanno di tutto per richiamare certe atmosfere di trent’anni fa, anche se con un bel gusto per la rivisitazione. Stranger Things, il pezzo centrale della colonna sonora, ha un sinth arpeggiato che di sicuro richiama all’oscura elettronica dell’epoca ma la pulizia e la freddezza dei suoni, di certo, si ispira appunto ad un rivisitazione che tiene conto dell’elettronica un po’ fighetta degli anni zero.
Anche per gli altri brani originali, soprattutto Kids che già nel nome è un rimando, fanno pensare più alle esperienze degli MGMT o addirittura dei Goldfrapp. Di sicuro il duo di Austin, che ha beccato un Grammy per la colonna sonora della prima serie, è poco incline al vintage e semmai di più al revival.
Venendo invece ai pezzi non originali spiccano nomi davvero interessanti, oltre alla bellissima Neverending Story interpretata da Dustin e Suzie che potete vedere qui sopra. Immancabile Madonna con la sua Material girl, che immagino non abbia donato il pezzo per la causa, abbiamo una serie di gioiellini anni ottanta tra cui Things Can Only Get Better – Howard Jones e Cold as Ice dei Foreigner, oltre al mai troppo omaggiato John Mellencamp che qui compare con R.O.C.K. In the U.S.A, addirittura uno strappo verso i ‘60.
Tante sono le chicche ed è inutile citarle tutte. Il consiglio che vi do e di mettere la Soundtrack in un pomeriggio di viaggio, a casa seduti o realmente duramente uno spostamento, per farvi cullare dalla dolce malinconia della voce dell’infanzia di chi ha ora quarant’anni.
Non si possono però non citare i The Cars band per niente scontata in questo contesto che purtroppo ha pagato più del dovuto il prezzo del tempo che passa. Piacevole invece scoprire Never Surrender di Corey Hart autentico mattatore negli anni di Ronald Reagan.