In Un’altra occupazione
Un’altra occupazione di Joshua Cohen
Yoav e Uri, dopo i tre anni obbligatori di leva in Israele, si ritrovano a fare i traslocatori per la ditta di David King, cugino della madre di Yaov. Solo che fare il traslocatore a New York implica anche eseguire veri e propri sfratti, effettuati senza troppa considerazione verso le persone.
Cohen ricama su quattro personaggi principali: Yoav, Uri, David e Luter (uno degli sfrattati). Sondandoli alternativamente mette insieme i pezzi di un puzzle che va da Israele a New York, passando per il posto nel mondo degli ebrei e la povertà resa insindacabile dalla società occidentale.
Muovendosi tra ricordi e presente, tra pensieri e dialoghi, alternando i punti di vista e incrociandoli attraverso scontri inesorabili, approfondendo senza fossilizzarsi, l’autore riesce a proporre righe su cui riflettere senza sacrificare la dinamicità naturale degli eventi. Soprattutto è in grado di racchiudere in personaggi ed eventi del libro un numero incredibile di temi e riflessioni, contraendo nelle righe ma esplodendo nella mente.
Israele e il mondo
In Israele sembrava sempre di andare verso, o di venire da, o meramente di passare accanto all’aeroporto, come se fosse importante essere sempre consapevoli della precisa distanza chilometrica tra questa vita e una fuga.
L’immagine molto forte del libro è quella che vede i due ragazzi non notare una grande differenza tra le irruzioni effettuate sotto l’esercito e gli sfratti di New York. Riconoscono dinamiche simili, tanto è vero che le immagini delle situazioni si confondono nella mente dei due, fattore reso mirabilmente da Cohen attraverso un impasto di immagini sovrapposte.
Già solo in questa dinamica si ritrovano molteplici spunti di riflessione. A partire dal fatto che i due israeliani passano dall’occupazione in territorio palestinese all’occupazione in territorio americano per mano di un capo comunque ebreo. Il parallelismo tra guerra e vita civile è significativo, soprattutto nella descrizione delle dinamiche che fanno di New York un campo di battaglia dei più deboli contro i più forti. Anzi, come in guerra, sono altri disgraziati a profilarsi come il braccio armato di autorità superiori contro i poveracci.
Nella società odierna non c’è tempo e spazio per restare indietro, attardarsi significa perdere tutto, al di là delle motivazioni che non permettono di stare al passo. Luter è vittima di una serie imprevedibile di circostanze, tra cui la guerra in Vietnam, quindi anche della stessa società che poi arriva a considerarlo un suo scarto. Alla fine, si tratta di una lotta tra ultime ruote del carro: in guerra come in città.
Libertà e identità
Uri in abiti civili era un lato e Uri soldato era l’altro lato, il vero lui era l’ipotenusa. Obliqua agli opposti, la somma quadrata di entrambe le cose.
Altro interessante filone è quello che vede Yoav e Uri alle prese con la propria libertà di scelta. In Israele, sotto l’esercito soprattutto, non avevano potere decisionale, dovevano eseguire. In America da un lato si ritrovano nella stessa situazione, cioè ad eseguire ordini di superiori, dall’altro cercano di costruire la propria identità.
Il punto di partenza non è ottimale, poiché lavorano senza permesso e quindi non sono regolari. Tanto è vero che, dopo un incidente stradale, Yoav vive un’altra sovrapposizione con momenti di guerra, perché deve scappare, non deve farsi trovare, così come non doveva farsi beccare dai proiettili. In più Uri non spiccica una parola di inglese, mentre Yoav se la cava seppur con qualche difficoltà.
I due ragazzi si trovano spaesati negli spazi di vera libertà che viene loro concessa, anche se lo sono in maniera differente (tanto è vero che queste differenze sono uno dei grossi nodi che vengono al pettine). Rimangono incastrati in dinamiche che non li portano troppo lontano, non sanno affrontare le situazioni, non sanno trovare un posto nel mondo: restano degli occupanti.
E Yoav non è nemmeno aiutato dal cugino, la cui incapacità di identificarsi è ancora maggiore, sottolineata dagli scontri familiari con la figlia.
Joshua Cohen presenta una vicenda che ha molti punti ironici, sa condurre il gioco con una scrittura dinamica e non scontata, ne risulta un libro lucido e forte, capace di arrivare al cuore di personaggi e riflessioni.
Joshua Cohen – Un’altra occupazione
Traduzione: Claudia Durastanti
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