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L’Arminuta – Donatella Di Pietrantonio

L’Arminuta di Donatella Di Pietrantonio è un libro sulle diverse facce della maternità e sulla costruzione di un’identità che viene deviata improvvisamente. Vengono fotografate le difficoltà del rapporto tra adulti e ragazzi, difficoltà che sono gravide di conseguenze ineludibili. Il linguaggio asciutto ci catapulta senza troppi giri nel cuore della situazione.

Trama

L’arminuta, in dialetto significa la ritornata, è una ragazzina che in quel d’Abruzzo viene restituita alla famiglia d’origine dopo aver passato la vita presso genitori adottivi. Questo sconvolgimento della vita è ricco di conseguenze, di sofferenze e di ripartenze. Il doppio abbandono dà avvio ad un viaggio della protagonista dentro se stessa e ad una rivalutazione della propria collocazione nel mondo.

Maternità ed abbandono

Un interessante racconto sulla maternità, sulle sue diverse sfumature, sulle sue resistenze, sulle cangianti modalità con cui può essere vissuta. Una doppia rinuncia e un doppio riavvicinamento al ruolo che partono da posizioni differenti ma si ripercuotono sulla stessa persona, due realtà economiche differenti che arrivano ad influenzare i sentimenti, ma che non sono gli unici fattori in gioco. L’autrice riesce a ricamare i sentimenti delle due madri con tocco morbido, riproponendo l’ambiguità della vita quotidiana, dei gesti e dei momenti che racchiudono l’essenza più di molti discorsi, lì dove assenze e presenze non si alternano senza lasciare traccia.
Poiché il punto di vista è quello della ragazzina, gli atteggiamenti degli adulti vivono nel riflesso delle sue sofferenze, costruendo un quadro di uomini e donne incapaci di prendersi cura dei più deboli. Di certo le situazioni descritte non sono semplici, le due madri si trovano davanti a scelte difficili e cercano di recuperare gli errori che intuiscono legati alle proprie decisioni, ma non arrivano mai ad entrare in contatto con la figlia che si ritrova sperduta in tanta precarietà sentimentale: un’empatia mai davvero tentata e mai nemmeno sfiorata.

– Allora trovo un giudice e vi denuncio tutti quanti. Gli racconto che vi scambiate una figlia come un giocattolo.
Sono scappata via e sono rimasta fuori, presto è sceso il buio e mi ha gelato. Dall’angolo più nascosto del piazzale vedevo le finestre illuminarsi e, dietro, l’andirivieni delle sagome femminili affaccendate. Erano ai miei occhi le mamme normali, quelle che avevano partorito i figli e li avevano tenuti con sé. Alle cinque del pomeriggio erano già intente ai preparativi per la cena, cotture lunghe, elaborate, così richiedeva la stagione.

Un’identità complicata

Un altro grande tema del libro è quello dell’identità. La protagonista viene strappata alla vita che ha condotto fino a quel momento, ritrovandosi buttata in una nuova realtà improvvisa, diversa, sotto molti aspetti peggiore (di povertà rispetto a quella borghese di provenienza). Non è solo uno strappo che presenta una nuova situazione, si tratta di un lacerante burrone dell’identità: non si parla solo di perdere la propria famiglia, ma di scoprire di appartenere ad un’altra. A quel punto il grumo di dubbi e incertezze assume dimensioni insostenibili per una ragazzina, l’inafferrabilità delle proprie origini mette in dubbio il suo posto nel mondo, il doppio rifiuto (quello originario della madre naturale e quello successivo della madre adottiva) dà l’avvio a sensi di colpa che non trovano riscontro in ciò che succede nella realtà, il nuovo legame da costruire con una madre e la speranza disattesa di ritrovare quello con l’altra confonderebbe chiunque. L’identità di un essere umano in divenire passa necessariamente dalle attenzioni che riceve e, in questo caso, abbiamo un doppio binario di attenzioni mancate o quantomeno equivocabili: quanto basta per creare un cortocircuito affettivo profondo.
In mezzo a tutto questo putiferio ecco l’appiglio di due dei fratelli: Vincenzo e Adriana, con cui si crea un rapporto particolare, persino morboso. In realtà anche la cura verso il fratellino più piccolo aiuta a costruire un nuovo castello di rapporti, le dinamiche con questi tre fratelli permettono all’arminuta di essere partecipe di dinamiche che la coinvolgono, di trovare un appiglio in questa sua nuova e vecchia famiglia.

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Da un pugno una carezza nascerà

In una personalità ancora in costruzione essere sballottata fisicamente e sentimentalmente in questa maniera non può non lasciare traccia. La donna che scaturisce da un’adolescenza del genere viene solo accennata, ma possiamo ben intuire che è animo inquieto e insicurezze croniche. I danni delle scelte degli adulti sono incalcolabili e l’indifferenza verso le dovute spiegazioni disturbanti, ma se ci pensiamo persino naturali nel modo in cui gli adulti si rapportano con i bambini e i ragazzi, come se quest’ultimi non avessero tutto un mondo interiore influenzato da ciò che succede, da quel che percepiscono, dai silenzi che non capiscono. Eppure, in tutto questo marasma, qualcosa di buono ne viene, fosse anche la sola scoperta di una sorella con cui costruire un rapporto intimo e affettuoso. Se la protagonista non avesse vissuto quelle peripezie avrebbe continuato con la sua vita incasellata e non avrebbe mai usufruito del fattore di crescita del ciclone Adriana.
Infine, non possiamo non citare il vantaggio della protagonista nel crescere in un ambiente come quello adottivo, fosse stata tirata su a pane raffermo e cazzotti probabilmente non sarebbe stata la studentessa modello che ci viene proposta e, probabilmente, il callo alla vita scarna avrebbe coperto molte sue debolezze.

La scrittura

Tutto questo viene raccontato in modo piuttosto conciso da Donatella Di Pietrantonio, una scrittura asciutta e senza fronzoli, uno specchio della situazione narrata. Eppure, forse, con l’ambiente da cui proviene l’arminuta, con il carattere che ha sviluppato, questo linguaggio poco si addice; sembra essere il linguaggio della realtà piuttosto che quello della voce narrante. Magari invece la donna che ne è venuta fuori racconta con questo piglio a causa di quanto vissuto; ma il periodo nell’altra casa è durato poco, forse il linguaggio asciutto rispecchia l’animo esausto. Non lo so e continuo a chiedermi da che parte approcciare questa scrittura, ma in fondo è giusto che io non lo capisca.
Il punto di vista della ragazzina permette di giocare con i fatti, di nasconderli e palesarli ad arte. Il lettore percepisce la realtà filtrata dagli occhi della protagonista narrante e questo gli permette di seguire i moti dell’animo su cui si vuole concentrare l’autrice più che la realtà dei fatti.
Chiudo annotando che secondo me il romanzo soffre dell’andamento cronologico ed episodico. Questa caratteristica non permette alla narrazione di assumere un respiro più ampio, ancorandosi ad elementi che lo zavorrano impedendogli di essere più efficace e profondo.

Donatella Di Pietrantonio – L’Arminuta – Einaudi

 

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