Chi è Nick Molise e quali strascichi lascia dietro di sé, quali sentimenti forti catalizza e quanta rabbia genera. La confraternita dell’uva di John Fante narra di Nick Molise e della accozzaglia di italoamericani a cui si accompagna, un uomo che raccoglie con dovizia tutti i vizi capitali e che abbandona la propria famiglia in balìa di se stessa e dei fantasmi che lascia loro in eredità. Un libro denso di ironia e di vita senza peli sulla lingua.
Viaggio all’interno della famiglia Molise, in particolare di Nick Molise, padre e padrone e re e dio che regna dispoticamente su tutti. Nick Molise è un coacervo di vizi, meglio se capitali, e si accompagna ad una combriccola della stessa sua pasta, immigrati italiani di prima generazione fedeli al vino, al gioco e alle donne tranne le loro. La famiglia, moglie e quattro figli, è un necessario inconveniente da cui tenersi alla larga e comandare a bacchetta attraverso il terrore.
Da queste premesse si snodano vicende e considerazioni di Henry, primogenito scrittore, unico ad essersi allontanato da San Elmo dove le circostanze lo portano a ritornare e rimanerne invischiato. Tanti elementi di cui tener conto, provo a scriverne un paio anche se forse dovrei farlo dopo averne bevuto qualcuno di rosso, perdonatemi la sobrietà.
Ne La confraternita dell’uva
La moglie, la figlia e i tre figli ne vengono fuori quantomeno acciaccati. La moglie, chiusa in un ruolo da casalinga e cuoca, cerca di tenere insieme i membri della famiglia attraverso piatti e sceneggiate. Si tratta di un ruolo cucito addosso alle donne da una tradizione ancestrale che lei indossa come un abito su misura. I figli, tranne Henry, rimangono incastrati a San Elmo dove non riescono a imboccare una via d’uscita e per questo si ritrovano incattiviti e irrealizzati, con un rancore sempre pronto ad esplodere sterilmente a salve.
Henry, costretto al ritorno a casa e incastrato nell’impresa della costruzione di un affumicatoio in montagna come manovale del padre, credeva di essersi liberato da tutto questo. Il ritorno a casa però lo sorprende alle spalle e lo imprigiona come una tela di ragno. In realtà lo incatena ad un passato mai risolto, ad un marchio nell’anima che ha tentato di coprire ma che le vecchie consuetudini liberano dalle apparenze. Il rapporto con il padre non è certo idilliaco e la considerazione che ne ha è rabbiosamente infima. Il tempo che però passa insieme al proprio vecchio permette ad Henry di intravvedere l’umanità di Nick Molise, un uomo forse marcio per la massima parte ma che conserva delusioni e speranze che sanno di semplicità e innocenza. Così il soggiorno di Henry si svolge tra la rivalutazione del proprio vecchio, la ricostruzione approssimativa di un rapporto, l’involuzione per osmosi che lo scrittore subisce e un cedimento irrazionale che sa di marchio genetico e sociale.
John Fante segue la vicenda con una scrittura agile e secca, piena di ironia e priva di schermi. Un libro che scorre via facilmente e non risparmia nulla nel tratteggiare il quadro di una realtà cruda e ricca. Se dovessi muovere un appunto, mi ha solo lasciato perplesso l’evoluzione drastica delle considerazioni di Henry verso il padre. Di certo un’evoluzione ha senso ed è importante nel libro, ma il passaggio dall’odio smisurato all’affetto viscerale forse è eccessivo, qualche sfumatura in più, qualche contraddizione sparsa avrebbe donato un filo di profondità maggiore alla descrizione del rapporto.
Concludo con tre elementi de La confraternita dell’uva
Angelo Musso, il vecchio vignaiolo a cui si rivolgono quegli avvinazzati della combriccola italoamericana, è una figura sontuosa. Provvisto di una saggezza alcolica elargisce ebbrezza attraverso il suo nettare, regalando un angolo di pace e stordimento a chi volesse usufruire di vino e cibo alla sua tavola. Non parla, per problemi alle corde vocali, ma non ha nemmeno bisogno di farsi capire, il vino è il suo verbo che sa conquistare gole e cervelli.
Mario, uno dei figli di Nick Molise, avrebbe potuto aspirare ad una carriera da giocatore di baseball, ma il padre gli ha fatto perdere il treno a causa della propria cocciutaggine e chiusura. Mario resta comunque un grande appassionato di baseball e Nick Molise, alla fine del libro, vedrà l’insensibilità di questo figlio concretizzarsi proprio attraverso il baseball, come un karma inevitabile.
La parentesi di Henry con l’infermiera decadente è meravigliosa per ironia e significato. Henry si ritrova in una situazione grottesca a causa del vizio trasmessogli dal padre, in un crescendo di ilarità e ineluttabilità che sa di magistrale.
Valutazioni emotive:
Felicità: 62%
Tristezza: 51%
Profondità: 73%
Appagamento: 75%
Indice metatemporale: 78%