Io non mi chiamo Miriam - Majgull Axelsson

Io non mi chiamo Miriam – Majgull Axelsson

Io non mi chiamo Miriam di Majgull Axelsson è un libro importante e coraggioso: va a incastonarsi nella narrazione di una tragedia di portata storica, ma rimesta tra le pieghe meno opportune, laddove la negazione ha continuato a sgomitare contro la pietà, continuando a macchiare di colpe un popolo che non abbiamo saputo vestire dell’abito di vittime.

Io non mi chiamo Miriam di Majgull Axelsson

Questo di Majgull Axelsson è un libro importante e coraggioso: va a incastonarsi nella narrazione di una tragedia di portata storica, ma rimesta tra le pieghe meno opportune, laddove la negazione ha continuato a sgomitare contro la pietà, continuando a macchiare di colpe un popolo che non abbiamo saputo vestire dell’abito di vittime.

Io non mi chiamo Miriam racconta la storia, d’invenzione, di una ragazza rom che, in circostanze fortuite, assume identità ebraica nel campo di concentramento e la porta avanti per tutta la vita nella Svezia poco toccata dalla guerra.

Non ho trovato attraente la prosa dell’autrice, mi pare che il testo potesse essere sfrondato e alcuni meccanismi narrativi non mi hanno fatto impazzire. Al netto di ciò, dove si annida il gusto personale, consiglio la lettura di un romanzo che osa tanto, indaga la coscienza in modo scomodo e riesce a proporre personaggi indelebili.

Rom mai vittime

Miriam assume l’identità di una ragazza ebrea morta nel campo di concentramento per puro caso e per sopravvivere alle circostanze. Durante la vita si ritrova a mantenere la falsa identità per paura, una paura che non passa finita l’esperienza dei lager. Perché? Perché i rom, nonostante il genocidio subito, non vengono visti di buon occhio nemmeno in Svezia. Esemplare la scena, a cui assiste la protagonista, della spedizione punitiva di un gruppo di svedesi nel quartiere abitato dai rom.

A negare profonda umanità ai rom non è però solo la folla. Fin dal campo di concentramento, per passare dalla protettrice svedese e arrivare al marito, Miriam si accorge che il giudizio sui rom è cristallizzato sul polo negativo, anche quando la facciata viene salvata, in ultima istanza l’astio permane.

Il destino del popolo rom non può essere quello delle vittime, infatti non sono stati riconosciuti tali per molti anni nemmeno dopo i processi ai carnefici, fino a negare loro i risarcimenti a cui hanno avuto diritto gli altri prigionieri dei lager. Una diffidenza strisciante che permea tutte le società e che fa arrivare alla conclusione che essere rom non è mai un bene. Se guardiamo al di là della colpa di un regime sanguinario, dobbiamo trovare la forza di riconoscere quella della nostra società, nostra, che ha creato una spaccatura preconcetta nella pietà.

Forse a infastidirci è ciò che ha portato i rom ad essere gli unici ad aver tenuto sotto scacco i tedeschi nei loro campi di sterminio:

Sì, era successo. I rom avevano opposto resistenza. E avevano trionfato sulle SS. I rom erano gli unici ad aver mai sconfitto le SS ad Auschwitz.

Tra identità negata e identità trovata

Un altro grande filo conduttore del libro è l’identità di Mirian. Malika diventa Miriam agli occhi del mondo per un istinto di protezione di se stessa, sia nel lager che nella vita in Svezia. Miriam insiste con tutte le forze per guardare avanti, lasciandosi alle spalle il passato e il coinvolgimento sentimentale che lo accompagna. Miriam vuole e deve dimenticare, sia l’esperienza atroce dei campi di concentramento, sia l’appartenenza al popolo rom. Se vuole avere un futuro sereno non può indugiare su nient’altro che non sia Miriam, la ragazza ebrea di buona famiglia.

Ma non può esistere serenità per Miriam. Miriam si vieta di parlarne ma il passato la bracca, la sua famiglia rom non è morta in lei, i suoi patimenti non sono un’illusione da scacciare con un gesto. Anche perché Miriam non è mai libera di essere se stessa, qualunque cosa ormai voglia dire, sempre tesa a dare il meno fastidio possibile per non tradirsi, tradendo però le proprie origini ogni giorno. Eppure Malika è da così tanto tempo Miriam da esserlo forse diventata, ha costruito con così tanto impegno quell’inganno da averlo reso reale.

Sarà la passeggiata per il suo ottantacinquesimo anno con la nipote Camilla a farle raccontare tutto per la prima volta, a farle spalancare le porte del dolore e del terrore che hanno albergato in lei per tutta una vita. Miriam arriva a liberarsi, perché il racconto permette al suo passato, ai ricordi, ai suoi morti di prendere la strada del mondo e non rimanere imprigionati nei suoi incubi.

Io non mi chiamo Miriam non è un libro perfetto, ma sa essere attento, maneggia con cura e audacia una materia complicata, regalandoci una storia ricchissima e potente.

Majgull Axelsson – Io non mi chiamo MiriamIperboera
Traduzione: Laura Cangemi

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Su Giuseppe Ponissa

Aga la maga; racchetta come bacchetta magica a magheggiare armonie irriverenti; manina delicata e nobile; sontuose invenzioni su letto di intelligenza tattica; volée amabilmente retrò; tessitrice ipnotica; smorzate naturali come carezze; sofferenza sui teloni; luogo della mente; ninfa incerottata; fantasia di ricami; lettera scritta a mano; ultima sigaretta della serata.

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