Il popolo dell’abisso è un reportage sul mondo dell’indigenza nell’Inghilterra di inizio Novecento che vi travolgerà e vi sconvolgerà. A parlare è direttamente il burrone.
L’inventore del reportage
Jack London é famoso per i suoi celebri capolavori Il richiamo della foresta, Zanna bianca, Il vagabondo delle stelle, tanto per citarne qualcuno. Altrettanto celebre è la fama di vagabondo, di uomo d’azione, avventuriero. Alla figura dello scrittore americano sono legati miti di libertà e odi alla vita selvaggia.
Pochi però sanno che probabilmente è stato l’inventore di quello che oggi viene definito reportage sul campo, ovvero quel tipo di racconto giornalistico che viene narrato dall’interno di un processo storico o di un cambiamento sociale.
Se in Italia hanno fatto (giustamente) scalpore i reportage di Fabrizio Gatti legati alla vita dei profughi e degli immigrati clandestini, se Said Ramzi (pseudonimo), il giornalista francese che si è nascosto fra le file dell’Isis, ha sconvolto il mondo con le informazioni raccolte nel suo documentario sui giovani terroristi islamici, Jack London nell’estate 1902 impaurì governo americano e ben pensanti di tutta la terra fingendosi un povero marinaio americano rimasto senza soldi e senza lavoro nei quartieri poverissimi e malfamati del East End londinese.
Un libro scomodo
Che Jack London avesse idee socialiste e rivoluzionarie non era certo sconosciuto ai più, che avesse un passato (mai risolto?) da vagabondo era altrettanto risaputo, ma che di punto in bianco partisse dalla sua agiata villa californiana per immergersi nell’indigenza e nel lato oscuro della società capitalistica di inizio novecento era cosa che sconvolgeva e imbarazzava la società borghese di quegli anni. Forse sarebbe meglio dire angosciava. Infatti grazie alla paura che suscitò questo reportage nel mondo delle “anime perse” dal titolo esplicativo e geniale Il Popolo degli abissi, il libro rimase poco conosciuto e considerato, in qualche caso sottovalutato e osteggiato.
Per questo ancora oggi il capolavoro di Jack London, che a buon diritto va annoverato fra i grandi libri dello scrittore rimane poco conosciuto e pubblicato, con la sua aura di angoscia profonda che provoca nel lettore che provi ad immergersi tra le pieghe di questa opera.
Storie di vite vissute
Il libro parte con una nota molto sincera dello scrittore stesso. Jack London che intuisce che il libro verrà etichettato come negativo e angosciante spiega che il suo racconto, anche se potrebbe apparire anti-storico, è in realtà semplicemente l’altra faccia di quello che unanimemente è considerato uno dei periodi floridi della società inglese. La storia, spiega London nelle prime note, deve essere narrata a partire dagli individui da cui spesso la crescita di sistemi sociali prescinde.
Infatti in questo libro troviamo delle storie, ci sconvolgeranno, ci indigneranno, ci sembreranno estreme ma saranno comunque dignitose proprio in quanto semplicemente individuali.
Gli incontri
Nel primo capitolo London racconta “la discesa negli abissi” ovvero come è arrivato negli East End, come si è travestito da barbone e quali escamotage ha ideato per salvarsi in caso le cose si fossero messe male. Appena pronto col travestimento lo scrittore si immerge nelle storie e la partenza è subito folgorante.
Il primo incontro è probabilmente tra i più belli liricamente di tutto il libro ed avviene con un giovane marinaio inglese nichilista e disilluso che alla famiglia o alle donne preferisce la birra e il tirar a campare. Dalle prime note si capisce che la capacità di Jack London di trasformare in empatia la tragedia personale diventerà sempre più insinuante fino a farti sentire lo sporco e il freddo dei docks londinesi tra le mani che stringono il libro.
Dopo il primo incontro, Jack London si lancia ancora più dentro il popolo dell’abisso arrivando ai gruppi di vagabondi che vagano nella notte londinese alla ricerca di uno scalino per dormire, uno zerbino.
Parla il burrone
E mentre lo sguardo del narratore si immerge nell’abisso di indigenza e disumanità dei bassifondi dell’East End, insieme vengono alla luce altre due trame che spesso si confondo e uniscono ma altrettanto spesso si biforcano in forme narrative complici ma differenti quali la poesia e il saggio sociologico.
Se idea fissa di London nello scrivere Il popolo degli abissi era certo l’espressione del suo credo politico socialista, anarchico e libertario, fa un certa impressione come il poeta, il visionario osservatore emerga a volte in maniera quasi non voluta. Ci troviamo ogni tanto sull’orlo del burrone con l’incubo di caderci dentro. Solo un piccolo particolare si deve aggiungere: a parlare è il burrone, a parlarci è l’angoscia stessa che si è fatta io narrante.
Un libro attuale
Potete capire facilmente come questo libro non sia stato apprezzato né dalla destra né dalla sinistra sia americana che inglese: le corde che andava a solleticare London erano quelle dell’angoscia dell’umano per l’umano, la paura di scomparire da qualunque mappa.
Il popolo dell’abisso è un libro molto denso e che lascia poche chances alla fantasia, ma se avrete voglia di fare questo viaggio probabilmente ne emergerete con una capacità rinnovata di guardare le cose di cui sicuramente potrete giovarvene guardando il mondo attuale.
Jack London, Il popolo dell’abisso Mondadori
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