Senza annunci, senza nessun segnale e senza la minima promozione esce all’improvviso un nuovo album di inediti a firma Marshall Bruce Mathers III, in arte Eminem. Per la serie mi si nota di più se mi annuncio o non mi annuncio l’artista di Detroit, dopo una serie di live estivi, di cui uno anche in Italia, pubblica Kamikaze. Del resto per un album che si intitola Kamikaze non poteva esserci tuffo migliore che quello “a bomba” nel mercato discografico.
Che Eminem non sia più il rapper ipnotico e magnetico degli anni 2000 è ormai evidente, ma comunque, digerito il mezzo-flop di Revival, il “miglior rapper bianco” è tornato con dieci tracce tutte nuove.
La sensazione ascoltando Kamikaze, in cima alle classifiche d’ascolto su tutti i portali digitali, è che non brilli per innovazione e freschezza. Forse l’originalità del nuovo album di Eminem sta proprio nella scelta di ritornare ad una produzione molto scarna ed essenziale, che ricorda più gli inizi della carriera dell’artista che i grandi successi di quindici anni fa. C’è una certa voglia di far vedere quanto è veloce a rappare, anche se in qualche traccia tutto questo virtuosismo diventa un po’ stucchevole. Anche i collaboratori di Eminem non scherzano, vanno veloci. Le linee vocali disegnate sono molto belle, sia nel rappato che nei cantati, splendidi gli interventi di Jessie Reyez (da seguire) e naturalmente quelli di Bon Iver, a cui si deve anche una piccola polemica per il pezzo Fall.
Il problema è un altro, se state seguendo le polemiche del disco ne sarete al corrente, e cioè: Eminem non aveva proprio niente di più interessante che sputare frasi omofobe di bassa tacca contro i proprio colleghi? Boh, forse no. In effetti tutto Kamikaze è una gigante invettiva contro i detrattori di Eminem, ed è proprio da questo sacro fuoco che è nato uno degli album più potenti del rapper, però non è che questo giustifichi proprio tutto. Eminem si era stagliato nel panorama rap per la capacità di raccontare la propria biografia con sincerità, scatenando una violenza che è quella della vita, naturale e terribile. Per questo ora ascoltare un quarantacinquenne che fa giustizia dei proprio competitor o critici fa un po’ sorridere. Anche Il nostro Guccini grazie ad un’invettiva ha scritto uno dei suoi pezzi più belli (L’Avvelenata) ma eravamo di fronte ad un passaggio emotivo differente. In Eminem la difesa e l’attacco non superano quasi mai il teorema: “io sono molto figo e voi siete froci perché non vi piaccio”. Poca roba per uno come lui. Ancora meno affascinante si presenta la questione quando si pensa che uno degli attacchi è rivolto a Tyler The Creator, personaggio quando meno positivo nel mondo del rap odierno.
Fatta questa premessa, ahimè doverosa, il disco suona potente e aggressivo, con un ritorno evidente alla vecchia scuola. Base, bassi e tanta voglia di sperimentare.
The Ringer è una partenza perfetta, le frasi asciutte e leggermente sincopate di Eminem ci portano subito nel groove di un localaccio di Detroit. A spiccare tra le dieci tracce sicuramente Kamikaze (title track) e proprio la tanta criticata Fall dove la voce di Bon Iver, scioglie una pasta molto densa che colpisce per nevroticità.
Di sicuro questo nuovo lavoro deve due ringraziamenti giganti a Dr. Dre e Jessie Reyez. Al primo perché la produzione è puntuale e filologica e ha riportato Eminem ad una violenza atavica di cui di sicuro necessitava. A Jessie Reyez i ringraziamenti vanno perché ogni volta che entra sulla base le orecchie iniziano a danzare come due ballerine del ventre tra sensualità e puro piacere.