Calcutta è quel giocatore che non ti aspetti, quello che ti sorprende all’ultimo minuto quando pensavi di aver chiuso la partita. Mai paragone fu più azzeccato vista la traccia numero sette di Evergreen dedicata a Hübner, calciatore romantico ed eroe della porta accanto. Pezzo che racconta l’aspirazione alla vita ritirata del cantautore Edoardo, attraverso la carriera del calciatore omonimo. L’artista è come la sua opera, sfuggente e ironica.
Evergreen è uno dei dischi più attesi dell’anno
Nel presentare Evergreen Calcutta si è schernito, dicendo di aver fatto un bel lavoro ma niente di speciale, non è che parliamo di un capolavoro. Già in questo atteggiamento anti-trionfalistico, Calcutta dimostra tutta la sua intelligenza strategica in cui convertono calcolo, creatività e imprevedibilità.
Ascoltando Evergreen è proprio questa la prima sensazione: Calcutta dietro ad un pugno di idee melodiche e tante intuizioni linguistiche costruisce un mondo sonoro perfetto e affascinante che colpisce dal primo ascolto.
Del resto chi conosce anche la videografia di Calcutta non fatica a capire di cosa parliamo quando parliamo di semplicità e originalità. Tornando a bomba su Evergreen possiamo dire che dopo le anticipazioni dei singoli è arrivato un album compatto, forte e leggero come sarebbe piaciuto a un Battisti o a un Venditti. Briciole apre il disco con un testo dolce e un piano elettrico che riporta tanto ad una ballata made in sixty. Notevole la linea vocale. Paracetamolo potrebbe essere il riassunto di questo disco, poche parole ben spese e una melodia leggera, forse troppo facile ma sicuramente efficace. Il colpo di scena arriva già al decimo secondo, quando entra una chitarra spettacolare a chiudere la strofa. Il fraseggio rientrerà nel ritornello e rimarrà nella seconda strofa, portando la canzone ad altezze inaspettate. Bellissimo l’arrangiamento e il mixaggio.
Ah, teniamo conto che Calcutta ha anche prodotto Evergreen oltre ad averlo scritto, per dire.
Si continua con Pesto e Kiwi due pezzi che raccontano di amori post-adolescenziali su ritmi lenti e abbastanza strazianti. Saliva invece è un pezzo che apre su una vena molto cantautorale, quasi anni settanta, con un testo estraniato e solitario.
Dateo é un pezzo strumentale che apre su una seconda parte del disco, più complessa e con aperture verso il rock classico. Hübner è sicuramente il pezzo più divertente dell’album, non tanto per il tema del testo, una riflessione amara sulla poca cura degli affetti ma per la scelta del titolo. Hubner, calciatore che ha attraversato gli anni ‘00, reso famoso per aver deciso di restare vicino alla famiglia rifiutando proposte milionarie ed anche per gli eccessi romantici da rotocalco è la metafora del connubio successo e riservatezza.
Nuda Nudissima è un pezzo leggero e sberluccicante, un pop colto e vagamente anni ‘80. L’attacco di Nuda Nudissima ricorda in qualcosa un Eros Ramazzotti di primo pelo.
Con Rai si apre un po’ un capitolo a parte nel parte nel disco in cui si sente l’esigenza di Calcutta di cercare altre strade oltre a quelle già percorse nel pop. L’attacco e decisamente seventies con delle immagini rubate ad una Milano austera e professionale, evidentemente il cantautore di Latina deve immaginare la capitale morale d’Italia come una città complessa e difficile da frequentare. L’album si chiude con Orgasmo, forse il vero trade d’union tra il vecchio disco e questo ultimo lavoro.
Un album che si contraddistingue per l’incredibile guizzo melodico e linguistico che l’autore di Frosinone riesce a mettere in campo. Un album che incuriosisce anche per i possibili sviluppi dell’affaire Calcutta. Un album però, che fino in fondo non convince, che lascia qualcosa di sfuggevole tra le mani, una sensazione che qualcosa in fin dei conti non torni.
Credo che non sia un problema delle incredibili doti di Calcutta ma forse più un caso di urgenza creativa che a volte viene a mancare.
Ovvio che produrre un album dopo Mainstream non era semplice e non lo sarebbe stato per nessuno, quindi Calcutta non ha sbagliato nulla anzi. Se possibile, Evergreen è il miglior album che Calcutta potesse produrre come seconda fatica pop, quindi chapeau.
Ora per il pianista di Latina si apre la strada dei grandi consensi, dei grandi palchi, del confronto coi grandi autori del passato per questo da Calcutta ora ci aspettiamo qualcosa di più.
Ora Edoardo (o Edoadro, se preferite) deve farci sentire quanto ci crede e quando sente con le sue vene il sangue che scorre, senza nascondersi in nessuna retorica adolescenziale o qualche facile posa di genere. Adesso la necessità è la verità: travestita o nuda nudissima (tanto per citare Evergreen), ma la verità per favore.