Pensieri della mosca con la testa storta di Giorgio Vallortigara è un saggio che racconta la sfida più interessante lanciata dalle neuroscienze applicate al mondo di altre specie animali: cosa succederebbe se riconoscessimo nelle menti di altri animali capacità sorprendenti? E, sopratutto, cosa succederebbe se scoprissimo che altre menti, con molti meno neuroni, possono realizzare operazioni che a noi sembrano straordinarie?
Pensieri della mosca con la testa storta di Giorgio Vallortigara
Spesso sentiamo descrivere il cervello umano come una macchina fantastica. La capacità di conoscere, riconoscere, collegare e astrarre della nostra mente viene definita in modo sensazionalistico come un mistero magico ad esclusivo appannaggio della nostra specie.
Ma cosa succederebbe se riconoscessimo nelle menti di altri animali simili capacità sorprendenti? E, sopratutto, cosa succederebbe se scoprissimo che altre menti, con molti meno neuroni, possono realizzare operazioni che a noi sembrano straordinarie?
Questa è sfida che lancia Giorgio Vallortigara, neuroscienziato dell’Università di Trento, in Pensieri della mosca dalla testa storta, saggio che racconta la sfida più interessante lanciata dalle neuroscienze applicate al mondo di altre specie animali.
Dopo aver introdotto il problema di cosa significhi conoscere, ovvero quali capacità si applichino a questa collezione di cognizioni, Vallortigara apre al mondo dell’osservazione dei fenomeni che accadono nelle menti di animali più piccoli per numero di neuroni e dimensioni del volume celebrale.
Il nostro cervello per comparazione
“Un’ape possiede nel gaglio encefalico 960.000 neuroni. Con questo bagaglio limitato riesce a compiere prodezze cognitive come quella di imparare a discriminare quadri di Monet da quadri di Picasso” racconta Vallortigara, ma il punto, oltre ad essere spiazzante, ci induce ad una riflessione sulle capacità dell’uomo. È ovvio che l’uomo riesca a compiere simili azioni, ma, vista la grande dotazione di neuroni, la domanda che il neuroscienzato si pone è: “che cosa se ne faccia di tutti gli altri neuroni che gli avanzano” il nostro cervello.
Ovviamente la sfida è paradossale, ma proprio per questo tra le pagine di questo volume si possono scoprire riflessioni interessanti che mostrano come il cervello umano funzioni e costruisca capacità e saperi attraverso principi semplici di riconoscimento e discriminazione.
“Mi sono convinto che studiando i cervelli miniaturizzati di creature come le api e le mosche dovremmo riuscire enucleare i principi di funzionamento basilari delle menti”, con questo assunto affronteremo nelle pagine di questo libro esperimenti a volte sorprendenti che ci raccontano, per comparazione, il nostro cervello meglio di quanto si possa farlo osservandolo nella sua solitudine.
Così scopriamo che proprio le api e le mosche, hanno capacità come quelle di riconoscere i volti o di tenere uno schema di copia efferente simile all’uomo, ma con percorsi differenti.
Cervello e movimento
Certo rimane stupefacente che animali così piccoli e così poco dotati possano raggiungere capacità tanto difficili come riconoscere un volto o riuscire a distinguere il tratto di un pittore da un altro, ma, superato lo stupore, quello che si farà avanti sarà una nuova visione delle neuroscienze. Una visione dello sviluppo epistemologico basato sulla strumentalità non solo sociale che comprende, tra le altre, il movimento come punto di partenza per la comprensione del proprio sentire/percepire.
Una comparazione che arriva a raccontare il cervello umano prescindendo, tra le altre cose, per esempio dal concetto di conoscenza o di sensibilità.
Il cervello viene disegnato, tra le pagine di Vallortigara, non più come una macchina perfetta che nasce da una mescolanza di elementi sconosciuti, ma come frutto di un percorso storico basato sulla strumentalità e sull’opportunità.
Esposto in modo divertente, si trova tra le pagine del libro l’esempio delle larve di ascidie, piccoli esseri che usano il cervello connettendo i dati sensibili fino al raggiungimento di una superficie cui aderire e consolidarsi; superata questa fase di movimento, il cervello viene inghiottito, avendo perso il suo scopo di utilizzo. Questo esempio ci insegna almeno due cose importanti riguardo al cervello: la prima è la sua natura strumentale, la seconda è il suo svilupparsi insieme al movimento, caratteristica che Vallortigara racconta con chiarezza nel libro.
Nascerà proprio dall’identificazione nel movimento di un passaggio evolutivo epistemologico importante la distinzione tra sentire e percepire, questione molto meno filosofica di quello che si potrebbe supporre ed allo stesso tempo molto meno scontata di quanto si sia detto in passato.
Pensieri della mosca dalla testa storta è un libro che apre su un mondo affascinante come quello delle neuroscienze applicante allo studio della natura delle menti animali, campo di non semplice prima di lettura ma talmente ricco di fascino da meritare qualche minuto in più per rileggere i passaggi più complessi. Se poi aggiungete che le parole di Vallortigara spesso giocano con l’ironia, allora vi sarà evidente come questo saggio sia una rivelazione non appena ne avrete concluso la lettura.
Giorgio Vallortigara – Pensieri della mosca con la testa storta – Adelphi
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