Io sono la bestia di Andrea Donaera è decisamente spigliato, proponendo una storia dalla crudezza ancestrale, che non risparmia dettagli a tinte forti, raccontata con una prosa dinamica che, pur riportando spesso pensieri, mantiene un ritmo alto.
Io sono la bestia di Andrea Donaera
La guardo, in tutto questo amore che non capisco. E vado
Esordio del 2019 che mi ha decisamente convinto a leggere il secondo libro che nel frattempo è stato pubblicato (Lei che non tocca mai terra, settembre dell’anno scorso). Donaera si dimostra decisamente spigliato, proponendo una storia dalla crudezza ancestrale, che non risparmia dettagli a tinte forti, raccontata con una prosa dinamica che, pur riportando spesso pensieri, mantiene un ritmo alto.
Si tratta di un romanzo corale, in cui trovano voce ben quattro personaggi: Mimì, Veli, Nicole, Arianna. E poi c’è la presenza ingombrante dell’assenza di Michele. Proprio dal suicidio di Michele, pare per amore non corrisposto di Nicole, prendono avvio i fatti che portano Mimì, padre di Michele e boss della Sacra, a cercare vendetta per quella morte. Veli, protagonista di una storia d’amore forse finita con la figlia del boss Arianna, diventa il carceriere di Nicole dopo il suo rapimento.
Tanta carne al fuoco, soprattutto tanto fuoco alto, vicende dure che non vengono edulcorate dall’autore. Eppure, pur svolgendosi in fatti concitati, è il lavoro sul linguaggio svolto da Donaera ad essere elemento di spicco del libro. La scrittura si adatta al personaggio di cui racconta il capitolo, come lo vestisse, dimostrandosi ancora più guizzante delle vicende.
Una scrittura sincopata che trasmette la carnalità e la veridicità dei protagonisti, talmente mobile da essere in terza persona nelle parti di Mimì e Arianna e in prima per quelle di Veli e Nicole. La terza persona utilizzata non ha nulla a che vedere con un narratore asettico, anche in questi casi la prosa restituisce tutto il travaglio del personaggio, facendolo rotolare verso il lettore in un nervoso moto vitale.
Un ultimo riferimento al dialetto presente nel testo. Per la maggior parte si limita a qualche parola, soprattutto nei dialoghi, si erge però in tutta la sua espressività nel lungo monologo della madre con Arianna (monologo perché non lascia parlare la figlia). Da nota di colore che dona veracità alle parole dei protagonisti, si fa componente fondante nella madre, fondamenta su cui si è costruita la comunità, terra madre che tutto inghiotte e tutto benedice e maledice.
Chi è la bestia
Le cose fuori dalla macchina scorrono e a Mimì gi viene la nausea, ma non riesce a smettere di guardare, sembra una cosa tipo un teatrino che viene smontato e subito rimontato, come se qualcuno che non si vede, dall’alto, prende e sposta via gli ulivi neri e poi li rimette più avanti, uno dietro l’altro, tutti uguali, e fa così pure con i muretti a secco, che a un certo punto si interrompono, e poi ricominciano, storti, ogni tanto delle lattine conficcate dentro, tutti uguali, tutto uguale.
In realtà bestie si sentono un po’ tutti i personaggi e tutti si sentono circondati da bestie. Bestia è Mimì boss violento, pronto a perpetrare una vendetta sanguinosa verso un’adolescente per una colpa molto vaga, cosa che non si può dire delle sue; bestia si sente Veli, costretto, per sopravvivere, a recitare il ruolo di carceriere in un luogo in cui è egli stesso prigioniero; bestia indomita si scopre Nicole nel momento del pericolo, capace di tirare fuori artigli fragili che non sapeva di avere; bestia è Arianna che insiste in un amore proibito, che non rifugge una famiglia malavitosa, non la rinnega.
Si tratta di bestialità incrociate, di bestialità vissute in una terra rude, in cui l’umanità è selvaggina che cerca di rimanere in piedi. Una Puglia ripulita dal turismo, ridotta all’osso che indurisce la sua pelle, alle dinamiche sociali cucite addosso ad una terra inospitale che fomenta passioni accese, disperazioni abissali, amori travolgenti, poteri senza pietà. Un quadro dalle tinte nette, che non significa privo di complessità, ma che lascia poco spazio alle esitazioni, richiede azione, esige volontà.
Tutto questo vissuto soprattutto sulla pelle dei giovani. Tranne Mimì, gli altri tre personaggi principali, ma anche Michele, sono adolescenti o molto giovani. Risalta la mancanza di futuro ritagliato sui desideri di questi ragazzi che sognano e amano, si divertono e lottano, si dimenano come possono per riuscire a scoprirsi veri, per essere riconosciuti da una società che lascia tra i loro piedi solo le sue rovine. C’è tanto destino, nel senso di una storia più grande di cui si fa necessariamente parte e da cui fuggire è complicato, richiede forze che non ti insegnano, riuscire a non rimanere incagliati è un’impresa forse troppo onerosa. Una terra che scorre nelle vene portando linfa e baratro. Arianna ne dà un esempio lampante: non scrive più il suo diario, ma dice cosa vorrebbe scriverci, sussurra a se stessa cosa avrebbe scritto.
Delicatezze
“Tocca. Senti come si sbriciola?”.
“Sì”.
“Eppure è la pietra di una cattedrale”.
“È vero. È in piedi da secoli”.
“Io mi sento così ogni volta che mi sfiori”.
“Così come?”.
“Mi sembra di lasciarti delle parti di me”.
“In che senso?”:
“Si staccano per sempre da me. Ti restano tra le mani”:
“Cosa vuoi dirmi, Veli?”.
Ci sarebbe tanto da dire, ma, per non ammorbare, voglio tenermi quest’ultimo spazio per sottolineare alcune delicatezze che contrastano con il contesto del libro, fanno da controcanto di bellezza e speranza in uno scenario tanto violento. Innanzitutto l’assenza di Michele. Si aggira come un fantasma nella vicenda, era un adolescente chiuso ed isolato, ma che trovava una fuga d’espressione nella poesia; tra l’altro alcune poesie presenti nel quaderno che consegna a Nicole aprono i capitoli. Se è vero che si tratta di poesie che parlano di un amore disperato, irraggiungibile, non si può soprassedere sulla forza della passione di quelle parole, sul loro farsi forma di resistenza letteraria, espressione profonda di un’anima in divenire.
Da una risata partono i fatti di sangue, la vendetta, almeno in superficie è così, quasi una scusa: la risata che Nicole riserva a Michele quando si vede recapitare il quaderno di poesie. Ma è una risata adolescenziale, forse di imbarazzo, una risata senza intenzione, e se anche intenzione ci fosse sarebbe un’intenzione leggera, di una giovinezza incosciente. Sempre la risata di Nicole smuove Veli dal suo ruolo di carceriere, lo scuote dall’apatia conservatrice dietro cui si è costretto a farsi scudo. La risata di Nicole riporta la vita all’interno di quella prigione in cui le emozioni si sono spente, le relazioni artefatte. La risata diventa un moto di ribellione.
Non tutte le considerazioni suscitate dal libro sono qui presenti, perché la ricchezza di contenuti veicolati da un linguaggio vivo e significativo rende questo testo sfaccettato, una lettura vivace.
Andrea Donaera- Io sono la bestia – NNE
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