Bambino di Marco Balzano è un libro che può aprire un dibattito importante, perché non fa sconti al fascismo né tantomeno a chi partecipò alle efferatezze di quel periodo, ma nonostante ciò, senza alcuna piaggeria, cerca di scandagliare i sentimenti di chi partecipò al ventennio fascista da protagonista.
La prolificità di Marco Balzano, scrittore con ormai all’attivo diversi successi editoriali, è sempre accompagnata da una capacità naturale di attraversare stili e tecniche differenti per arrivare al cuore della storia. Che storia si scriva con la esse minuscola o maiuscola poco importa, quello che interessa a Balzano è arrivare al cuore della narrazione, quello in cui emozione e riflessione si incontrano nella mente del lettore.
Se la caratteristica di tutti i suoi libri è quella di indagare la società nei suoi vizi e nei suoi pregi, siano essi privati o pubblici, la forma scelta per ogni opera è sempre diversa. A mio avviso non tanto per una necessità esclusivamente letteraria, ma soprattutto per un bisogno vitale che rilancia l’immagine di uno scrittore che vuole divertirsi a fare questo lavoro.
Con Bambino Balzano sceglie il lato oscuro della storia, ovvero sceglie di raccontare la storia di quello che potremmo a buona ragione definire un cattivo. La scelta potrebbe apparire provocatoria, soprattutto se fosse portata avanti con esasperazione o un eccessivo tono drammatico, invece nel libro troviamo il gusto dell’investigazione, della scoperta dell’altro lato della luna.
La vicenda si svolge all’inizio del Novecento a Trieste, città di confine che ha già conosciuto diversi cambi di fronte e che trova nell’avvento del fascismo un motivo di orgoglio e di forza. Trieste diventa la città più fascista d’Italia, ospitando per giunta l’unico Lager italiano: la Risiera di San Sabba.
Qui troviamo Mattia, un bambino che si annoia durante l’infanzia, ama torturare le lucertole e fare i bagni nel mare, ma per il resto vive una costante inquietudine che lo accompagnerà per tutta la vita. Ad alimentare un’inquietudine naturale, un’indole nervosa e senza pace ci sarà la scoperta, ancora ragazzino, che la donna che si era presa cura di lui fino a quel momento, Tella, non era la sua vera madre.
Questo solco nel cuore di Mattia lo induce ad una ricerca discreta ma costante di un modello femminile da cui farsi accudire. Marco Balzano non indugia sul rapporto con la madre mancante di Mattia, ma fa apparire una sorta di ombra psicologica sul protagonista che in qualche modo lo guiderà sempre.
Gli anni dell’adolescenza e della gioventù sono per Mattia la ricerca di qualcosa in cui credere, da cui farsi dare un’identità, una ricerca costante del sé attraverso gli altri. Visti gli anni, le alternative sono poche ed infatti Mattia sceglie di aderire alle nascenti e affascinanti camice nere. Il loro entusiasmo esistenziale, la loro esuberanza, il loro cinismo appaiono subito a Mattia come una via da perseguire per sentirsi parte di qualcosa di più grande. Questi sono gli anni in cui Mattia incontra la storia sulla propria pelle, facendosi anche marchiare a fuoco da essa.
Tra i vari personaggi che accompagnano le esperienze di Mattia c’è la figura di suo padre, per tutti l’orologiaio, una sorta di contrappunto alla cattiveria naturale del protagonista. Ma anche qui non troviamo una figura nitidamente buona o positiva, troviamo un uomo che incatena il proprio figlio ad un mistero, quello sulla vera identità della madre, e allo stesso tempo cerca di guidare Mattia verso un’immagine di mondo meno violenta e più tollerante.
Se il fascino nero di Mattia ha un grande potere sul lettore, dall’altra parte la pacatezza e la minuziosità delle operazioni compiute dall’orologiaio offrono una lettura dei fatti meno cupa e catastrofistica. I personaggi di Bambino appaiono tutti incastonati nella loro realtà dove buono e giusto appaiono solo categorie troppo superficiali per accoglierli totalmente.
Narrare del fascismo in Italia senza cadere in una critica sacrosanta, ma a volte talmente retorica da scadere nella lontananza dei fatti, è un’operazione difficile che Marco Balzano compie con grande umiltà, documentando e lasciando le chiavi di lettura in mano ai lettori.
Un tema non scontato, che si raccoglie soprattutto nelle ultime pagine del libro, è quello della vendetta, sentimento che viene identificato seguendo la grande tradizione filosofica di Platone in una categoria negativa ed inferiore rispetto al concetto di giustizia.
Bambino è un libro che può aprire un dibattito importante, perché non fa sconti al fascismo né tantomeno a chi partecipò alle efferatezze di quel periodo, ma nonostante ciò, senza alcuna piaggeria, cerca di scandagliare i sentimenti di chi partecipò al ventennio fascista da protagonista.
Una riflessione del tutto personale, che esula dal libro di cui stiamo parlando, è che proprio quest’operazione compiuta da Marco balzano sia necessaria soprattutto se compiuta da chi non ha ambiguità politiche rispetto al tema.
Bambino è scritto con penna leggera, naturalmente tesa al racconto e al ritmo, caratteristiche che portano il libro ad essere letto con passione anche prima che intervenga una riflessione (dovuta) sui fatti narrati.