Alessandro Dal Lago e Serena Giordano autori di Mercanti d’aura. Logiche dell’arte contemporanea e Fuori cornice. L’arte oltre l’arte. provano a tracciare i confini dell’arte, a comprenderne i meccanismi di inclusione. Nell’intervista che ci hanno concesso abbiamo rivolto anche un pensiero alla letteratura.
Come si può considerare arte un orinatoio? È questa la domanda a cui cerca di rispondere il saggio Mercanti d’aura. Logiche dell’arte contemporanea (il Mulino, 2006) di Alessandro Dal Lago e Serena Giordano, in un discorso che continua con il successivo Fuori cornice. L’arte oltre l’arte (Einaudi, 2008), dove si analizzano alcune figure artistiche estranee ai circuiti ufficiali della critica. Al di là delle considerazioni personali, è utile chiedersi come l’arte sia giunta ad allargare i propri confini sino all’opera di Duchamp (e oltre). Questi due testi si spingono ad indagare i meccanismi che sottostanno alle scelte di inclusione del “sistema-arte”, discorso che non vale solo per pittura e scultura, perché sono gli stessi autori a dirci che i medesimi meccanismi possono essere applicati anche alla letteratura. Infatti quello che conta è l’aura, cioè l’effetto che un’artista e le sue opere producono. C’è l’aura alla base di tutto, sia del gioco dell’arte che del suo commercio.
Abbiamo intervistato Alessandro Dal Lago, professore di sociologia dei processi culturali nell’Università di Genova e Serena Giordano, che insegna Immagine e comunicazione nella stessa università.
1) Partiamo da Mercanti d’aura. Leggendolo si ha l’impressione che il concetto di base è che arte è tutto ciò che il “sistema” considera tale. Non si rischia l’autoreferenzialità? In fin dei conti ci state dicendo che l’orinatoio di Duchamp è arte perché come tale è stata considerata da chi decide cos’è arte: ma in questo modo non si va poco lontano?
Crediamo che il sistema-arte funzioni in base a processi di inclusione ed esclusione, non in base a tautologie. Come abbiamo cercato di mostrare in Mercanti d’aura, Duchamp ha operato in base a una certa strategia cognitiva e comunicativa che, a sua volta, presupponeva delle condizioni, come la rivoluzione delle avanguardie, lo status di artista riconosciuto dello stesso Duchamp ecc. Analogamente l’autoreferenzialità è uno dei significati ultimi del mondo dell’arte, ma non descrive le pratiche molteplici che vi avvengono. Secondo noi, le pratiche artistiche sono potenzialmente illimitate e plurali, ma soggette, appunto, a definizioni sociali che dipendono dai gatekeepers.
2) Nell’arte contemporanea voi mettete in risalto il ruolo del critico, che arrivate a definire addirittura coautore delle opere. In letteratura (intendendo questo termine sempre in senso ampio) il critico non ha, invece, la stessa importanza. Secondo lei quali sono le ragioni? Forse il ruolo che nelle arti visive viene svolto da questa figura, in letteratura è diviso tra diversi soggetti (scrittore, critico, editore, ecc.)?
La questione in letteratura è abbastanza diversa. Infatti, contrariamente all’arte, il mondo letterario si basa sulla produzione non di pezzi unici o limitati (ma autenticati, come le serigrafie, per esempio), bensì di grandi numeri. La letteratura ha un pubblico relativamente di massa, in linea di principio. Da qui l’importanza degli editori più che dei critici. Gli editori si rivolgono direttamente al pubblico, il quale può premiare un libro stroncato dalla critica (e viceversa), esattamente come al cinema molti successi di pubblico non lo sono di critica. Naturalmente il ruolo del critico letterario non è da sottovalutare, ma è molto diverso da quello del critico o curatore d’arte. Diremmo che è più simile al chiosatore autorevole (o presunto tale) o, al limite, al creatore di canoni, che al co-autore. Ci sembra che in letteratura i critici spesso siano in contrasto con il pubblico (come d’altra parte nel caso del cinema), mentre nell’arte-arte, per dirla con Warhol, i critici siano parte integrante del pubblico, insieme a galleristi ecc., e quindi non possano essere in contraddizione con se stessi.
3) Quando un genere letterario funziona si insiste su autori che scrivono testi riconducibili a quello. Si può allora dire che l’aura, questa concreta influenza che l’autore riesce ad esercitare sul pubblico, in alcuni casi, appartiene più al genere che non ai suoi autori?
Sì, crediamo che in letteratura l’aura abbia a che fare con il genere (e qui i critici contano, ma anche gli autori-teorici: si pensi al Gruppo 61, al Nouveau Roman e al ruolo di Robbe-Grillet, oppure, ultimo nato, al New Italian Epic). Ma l’aura, ovviamente, può anche identificarsi con un alone che circonda il singolo autore, e che può dipendere da circostanze biografiche o di altro tipo, ciò che chiameremmo la “leggenda dell’autore”, per parafrasare il titolo di un famoso saggio di R. e M. Wittkower sugli artisti: l’autore avventuriero (J. London, Hemingway), l’autore scomparso (J.D. Salinger) o, per venire ai giorni nostri, l’autore-eroe (Saviano)oppure l’autore-spinto-da- un’ossessione (J. Ellroy). La casistica è assai ampia e si dirama in sotto-generi d’aura che ci porterebbero molto lontano. Ma anche in questi casi l’aura, diremmo, agisce direttamente sui lettori, comunque sia stata determinata.
4) È sbagliato dire che oggi il “mercante” ha un pubblico di riferimento ben preciso (ad esempio suddiviso per generi letterari)? O invece il principio che muove il commercio dell’aura è lo stesso per tutti?
Se parliamo di letteratura, possiamo dire che gli editori mirano a pubblici più o meno definiti, ma siamo nel campo dell’intuizione, non del marketing scientifico, ammesso che questo esista. I libri di Harry Potter e quelli di Stephen King non sono indirizzati a un pubblico che legge Nabokov o leggeva Nathalie Sarraute. Il pubblico di Elmore Leonard non è quello di Cormack McCarty. Ecc. ecc. Ma, lo ripetiamo, siamo nel campo delle mere ipotesi, sia per noi che riflettiamo a cose fatte, sia, penso, per il “commerciale” di un editore che ovviamente programma le condizioni di un successo, ma poi incrocia le dita. Come si dice nello show business americano, all hits are flukes, – per tradurre in modo castigato: “Tutti i successi clamorosi sono colpi fortunati”. Naturalmente, stiamo parlando di letteratura in senso stretto. Ma esiste una vasta produzione libraria che certamente è narrativa, ma forse non proprio letteratura – stiamo pensando agli autori di gialli ecc. In ogni modo, è interessante che la critica più attuale tenda a non stabilire più differenze di gerarchia. Pensiamo alla recente Storia europea della letteratura italiana di Asor Rosa, in cui, alla fine, anche Giorgio Faletti è citato e in sostanza incluso nella letteratura. Forse, uno dei casi più interessanti è quello di Simenon, un autore di “genere” (anche se non solo) che è approdato a una casa editrice come Adelphi che, per una quarantina d’anni, è stata sinonimo di cultura high brow.
5) Un discorso interessante è quello sulle committenze che portano nelle diverse epoche a differenti meccanismi. Oggi quale è la vera committenza della letteratura? Non è il pubblico che compra? E se così fosse, è davvero il pubblico a decidere o piuttosto esso subisce ancora le scelte di troppi intermediari?
Crediamo di aver risposto al punto 4. Il pubblico in letteratura, ma anche in arte, decide sulla gamma di prodotti che gli vengono presentati. Si tratta di una decisione ex post, ovviamente. Noi non crediamo che esista qualcosa come la “committenza sociale”, di cui si parla, probabilmente a sproposito, in riferimento a un testo impegnato o civile come Gomorra di Saviano.
6) Nelle vostre analisi portate alla luce come il “sistema-arte” riveli confini ben definiti e non accetti al suo interno ciò che non vuole inglobare (per esempio la cucina o il fumetto). L’abbattimento di questo tipo di confini è solo questione di tempo o provocherebbe il crollo del sistema stesso? In Fuori cornice suggerite l’idea che quando un autore estraneo al circuito viene accettato, ciò accade col “ritorno all’ordine”, edulcorandone lo spirito sovversivo (come per esempio è avvenuto per alcuni esponenti della street art).
Non crediamo che il sistema-arte sarà mai abbattuto dagli sconfinamenti, anche perché questi avvengono a senso unico. Il “sistema” accetta qualsiasi cosa purché sia ridefinito nei suoi termini (pezzo unico, legittimazione critica, vendibilità nel mercato dell’arte ecc.). Il ritorno all’ordine riguarda il sistema, ovviamente, non i significati che le opere rivestono. Di conseguenza un’opera può essere assolutamente sovversiva nel significato che l’autore le assegna, e assolutamente inclusa nel sistema. Il mondo dell’arte adora le sovversioni che non sovvertono il suo funzionamento. E’ un po’ il caso di Banksy, sicuramente geniale e a modo suo provocatore, ma del tutto incluso ormai nel sistema dell’arte.
7) Non potendo fare affidamento sulla critica ufficiale e parametri predefiniti, viene da chiedersi quali punti di riferimento possa avere chi vuole scoprire gli artisti fuori circuito.
Qualsiasi artista non battezzato, per così dire, è fuori circuito. Noi ne abbiamo indicati tre tipi in “Mercanti d’aura” e “Fuori cornice”. Quelli che fanno arte, ma mirano ad altro (devoti). Quelli che sono confinati in mondi esterni, specializzati o marginali (artisti applicati, raw artists, “lunatici” ecc.), quelli che fluttuano (street artists). Crediamo che non ci siano troppi altri mondi, al di là di quelli che fanno arte in privato e di cui non abbiamo idea.
8) A proposito delle chiusure del “sistema” abbiamo trovato molto penetrante il discorso sull’arte dei malati psichiatrici, che viene rifiutata sulla base della patologia e non su ciò che produce. Nei Mercanti d’aura si confrontano immagini di opere di malati psichiatrici e di artisti: è disarmante vedere come i secondi siano stati a volte preceduti dai primi. Si può considerare un esempio eclatante di come ormai l’opera d’arte non può essere considerata in se stessa, bensì con tutto ciò che le sta attorno?
Beh, l’arte dei “lunatici” non viene rifiutata, bensì assegnata a spazi speciali – il circuito dell’art brut ecc. Esattamente come i cosiddetti pazzi non svaniscono nell’etere ma finiscono internati – è curioso come il mondo dell’arte riproduca nel suo microcosmo le dinamiche del mondo sociale at large. La risposta alla domanda è evidentemente affermativa. Per noi due, molte opere cosiddette ingenue – una per tutte le Watts Towers di Sam Rodia a Los Angeles – sono dei capolavori assoluti e emozionanti, ma noi siamo un po’ anarchici…
9) Perché nelle arti visive si gioca sull’incomprensibilità (delle opere e anche dei testi critici), mentre nei libri, nei romanzi specialmente, si punta alla semplificazione sia di linguaggio che di contenuti? È solo perché nel primo caso è più facile giocare con l’ambiguità?
Il punto (non il solo, naturalmente) è che nelle arti visive (escluso il cinema) circolano opere uniche dal valore (potenzialmente) molto alto, mentre la letteratura si incarna in beni di largo consumo, e quindi relativamente alla portata di tutti. Questo non vuol dire che siano consumate davvero. Ci viene in mente, per quanto riguarda la saggistica, una battuta di Lacan sulla difficoltà dei suoi libri. L’importante non è che mi capiscano, ma che mi leggano, ha detto in una delle sue ultime conferenze. Quante copie avrà venduto, nel mondo, Finnegan’s wake di Joyce, notoriamente incomprensibile dai più? Saremo nell’ordine delle centinaia di migliaia di copie. Ma è l’eccezione che conferma la regola. La letteratura di largo consumo, da sempre, deve mirare a essere consumabile dal grande pubblico. Da qui la tendenza alla “comprensibilità”. Nel caso dell’arte, una certa cripticità o anche il barocchismo dipende, probabilmente, dal carattere cifrato ed esclusivo del discorso critico, che si rivolge agli addetti ai lavori.
10) In conclusione possiamo chiederle di indicarci un libro o un autore che secondo lei potrebbe avere svolto il ruolo che Duchamp ha avuto nell’arte visiva, cioè che abbia messo a nudo l’aura prima degli altri?
Non ci sembra che in letteratura esista un autore o un’opera paragonabile alla funzione di Duchamp, per il semplice motivo che ogni sovversione letteraria è interna al campo della letteratura e dei suoi codici, sostanzialmente definiti dal carattere pre-scrittivo della scrittura (ci si perdoni il gioco di parole). Ce ci si pensa bene, i codici della letteratura sono molto più rigidi di quelli dell’arte visiva. Pittura e scultura sono evase dalla figura, e oggi l’arte si è liberata, in un certo senso, della rappresentazione. Ma la letteratura? In poesia si abbandonano le forme metriche tradizionali (ma è successo un secolo fa!), ma la forma racconto o romanzo è rimasta pressoché immutata da quando esistono tali generi. I futuristi e altri scrittori delle avanguardie avevano provato a sovvertire le regole, ma un’ opera come The waste land di Eliot – che deve molto alle avanguardie, indipendentemente dai significati religiosi o metafisici abbastanza tradizionalisti che Eliot voleva attribuirle – è ormai rientrata nei canoni da settanta anni, se mai ne è stata fuori. Un meta-libro è pur sempre un libro (si pensi alla Sparizione di Perec), mentre l’orinatoio di Duchamp non è ne un quadro né una scultura, è soprattutto un’idea. Perec, Queneau, Nabokov e altri hanno forzato alcuni canoni ma sono letteratura in tutto e per tutto. Quello che per noi è uno dei libri più complessi e “d’avanguardia” di Nabokov, Fuoco Pallido, è il prodotto di una scrittura impeccabile, anche se è in tutto e per tutto sperimentale. In un certo senso, il mondo della letteratura è molto più conservatore e permette meno operazioni di sovversione concettuale di quanto non avvenga nell’arte, che pure è così vincolata al vile denaro…
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