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I Balcani. Civiltà confini, popoli (1453-1912) – Egidio Ivetic

I Balcani. Civiltà confini, popoli (1453-1912) di Egidio Ivetic percorre un ampio lasso di tempo in sole 190 pagine, eppure riesce ad andare oltre al didascalismo, centrando l’obiettivo di illustrare con dettagli e proporre interpretazioni. Un viaggio serrato ma che sa aprire lo sguardo e che trova un equilibrio non banale.

I Balcani. Civiltà confini, popoli (1453-1912) di Egidio Ivetic

Tre anni fa ho percorso la strada da Spalato a Sarajevo in auto e poi ritorno, passando da Mostar. Ci sono viaggi che ti restano nel cuore, luoghi che hanno qualcosa di difficile da definire ma che ti entra sottopelle. La Bosnia, sia Sarajevo che Mostar, ma anche tutta quella lingua di strada che attraversa un paesaggio sospeso tra durezza e incanto, ha un respiro tutto suo. Dovessi specificare meglio non saprei, è qualcosa di indefinito, per me che ci sono stato una sola volta, ma netto, un rapimento profondo dell’anima.

Può un libro di storia confermare sensazioni così vaghe? Se scritto bene ho scoperto di sì. Egidio Ivetic percorre un ampio lasso di tempo in sole 190 pagine, eppure riesce ad andare oltre al didascalismo, centrando l’obiettivo di illustrare con dettagli e proporre interpretazioni. Un viaggio serrato ma che sa aprire lo sguardo, permettendo al lettore di seguire anche quando il rischio di perdersi si affaccia dietro l’angolo. Un saggio che trova un equilibrio non banale.

Confine perenne e periferia di tutto

Del resto, la sorte dell’essere al confine di qualcosa, o tra qualcosa, comporta il non essere qualcosa, perché troppo lontano dal centro, che nella prospettiva dell’oggi è sempre il centro o il fuoco della narrazione.

Equilibrio che invece non hanno mai avuto i Balcani, se non quello forzato sotto il dominio ottomano. Si tratta di una zona che è sempre stata considerata il confine tra occidente e oriente, un cuscinetto sia protettivo sia anticamera allo slancio invasore. Dunque, l’identità del territorio, anzi dei vari territori, ha sempre faticato ad esprimersi, trovandosi in balia dei giochi altrui.

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Una zona che non è mai stata considerata in sé, bensì sempre in funzione di qualcos’altro, mai degna di centralità, fungendo da periferia di due mondi distanti e, come si sa, delle periferie ci si prende sempre meno cura. Un mondo utile ma non indispensabile, un teatro esotico di problemi concreti, un contenitore di estraneità che ha sempre nascosto un doppio specchio coperto da teli approssimativi.

Identità compresse

Il dominio ottomano ha dato al territorio un’unità sotto cui fermentavano silenziose identità inespresse, aggiungendo per altro un’ulteriore componente religiosa a stratificare una situazione già intricata. Il lungo periodo vissuto sotto il governo ottomano ha visto un’evoluzione guidata da un impero potente, ricco e sviluppato, in determinati momenti più avanzato dell’occidente.

Naturalmente, quando l’impero ottomano ha segnato il passo, i Balcani hanno pagato le naturali conseguenze, proprio nel momento in cui in Europa si stavano svegliando le coscienze nazionali. Quest’incrocio della storia si è rivelato drammatico in un territorio in cui la convivenza tra etnie e religioni diverse era di lungo corso, le migrazioni e gli scambi interni naturali, le istanze nazionali presenti ma confuse in un miscuglio tanto arricchente quanto, in quelle circostanze, esplosive.

Il Novecento ha visto esplodere, in tutta la tragicità possibile, la polveriera a lungo sopita. Forse quel che la storia ha imposto ai Balcani è troppo: troppa diversità in poco spazio, troppi dei a dividersi le anime, troppa pressione da due mondi inconciliabili, troppa indifferenza fuori dai confini, troppi giochi di potere su una pelle fragile.

L’altro lato della medaglia è il fascino che queste terre e i loro popoli sanno suscitare, il prezzo di questo fascino esterno ai confini è pagato all’interno dei confini, in un confine senza scampo. Sempre che il fascino non venga sostituito dal preconcetto, così da pagare due volte.

Un libro che sa essere informativo e suggestivo allo stesso tempo.

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Su Giuseppe Ponissa

Aga la maga; racchetta come bacchetta magica a magheggiare armonie irriverenti; manina delicata e nobile; sontuose invenzioni su letto di intelligenza tattica; volée amabilmente retrò; tessitrice ipnotica; smorzate naturali come carezze; sofferenza sui teloni; luogo della mente; ninfa incerottata; fantasia di ricami; lettera scritta a mano; ultima sigaretta della serata.

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