Biliardo alle nove e mezzo di Heinrich Böll, attraverso le vicende della famiglia Fähmel, racconta una resa dei conti pressoché impossibile in una società che, per catapultarsi verso il futuro, ha lasciato indietro la memoria e scoperte le ferite. La scrittura di Böll e le vicende sono altamente simboliche, la narrazione si muove tra presente e ricordi, variando il punto di vista in continuazione.
Biliardo alle nove e mezzo di Heinrich Böll
“[…] tu l’hai visto, dove porta il buonsenso politico: e ora vorresti rubarmi la mia insensatezza politica?”
6 settembre del 1958, il giorno in cui i Fähmel, famiglia di architetti di successo, fa i conti con la propria storia, intrecciata indissolubilmente con quella della Germania. Come fare pace con un passato come quello tedesco? Facile per moltissimi, impossibile per alcuni, soprattutto per coloro che hanno subito troppo in termini di vite perse e vite conservate in orizzonti dal cielo ribassato. Una resa dei conti pressoché impossibile in una società che, per catapultarsi verso il futuro, ha lasciato indietro la memoria e scoperte le ferite.
La scrittura di Böll e le vicende sono altamente simboliche. A partire dal continuo riferimento al Sacramento del bufalo e agli agnelli, per arrivare alla vicenda dell’Abbazia di Sant’Antonio: costruita dal capostipite Heinrich, suo primo incarico importante a sorpresa; distrutta durante la guerra dal figlio Robert che, nascondendosi dietro la pazzia di un superiore, completa una sua personale missione distruttrice; infine ricostruita dal nipote Joseph, o almeno un inizio di ricostruzione.
La narrazione si muove tra presente e ricordi, variando il punto di vista in continuazione: il narratore esterno viene sostituito da monologhi e flussi di pensiero; i dialoghi vengono alternati a racconti, in una scenografia a tratti teatrale, ma che si apre a descrizioni di esterni suggestive. Il risultato è accattivante, una capacità di tenere incollato il lettore a quel filo conduttore di pensiero, storia, vicende personali che impregna il testo in maniera efficacissima.
Tedeschi brava gente
[…] quando il vino scioglieva le lingue, rimuoveva i loro tabù, quando la fragranza della sera estiva li liberava dalla prigione della loro ipocrisia, allora tutto si vedeva chiaro: che non erano cioè, né ricchi né poveri abbastanza per arrivare a scoprire l’unica cosa che dura, la caducità; verso quella io mi sentivo attratta, e invece mi avevano educato a valori imperituri: matrimonio, fedeltà,onore, camera matrimoniale, dove regnava il dovere, e ogni scelta era bandita; […]
La prosa di Böll è penetrante e riesce a condurre un’analisi approfondita di quella società tedesca con la forza della grande letteratura. I membri della famiglia Fähmel vivono ossessioni robuste, cristallizzatesi in un tempo che non è riuscito a scorrere sulla loro pelle, fermato dall’indifferenza colpevole che li circonda. Colpe e castighi sono stati prima distorti in un incubo di grandezza disgraziata, poi spazzati sotto il tappeto in una disinvolta mancanza di consapevolezza.
E non si pensi che esista una distinzione sempre netta tra bene e male, non quando si tratta di distribuire il morbo mortifero del Sacramento del bufalo tra la popolazione. Infatti, nonostante un’educazione improntata a ben altri valori, uno dei fratelli di Robert sposa pienamente la causa nazista, un demone che riempie l’involucro di un ragazzo amato. Il germe di quella follia collettiva non ha conosciuto argini, ha saputo infiltrarsi nel tessuto sociale e famigliare senza porsi limiti, riuscendo ad esautorare anche la semina di valori positivi.
Nella quotidianità, oltre che sui grandi palcoscenici, si è giocata una partita sfibrante. Tra richiami inascoltati all’eroismo, violenze di ragazzi esaltati dal contesto, denunce che non hanno tenuto conto nemmeno del sangue comune, creando un clima di assurdità dove alzare la mano in un gesto innocuo verso la persona sbagliata poteva costare la vita. E nella stessa quotidianità si gioca l’impossibilità della riconciliazione, nel costante faccia a faccia con i passati aguzzini, nell’imperturbabilità senza vergogna che attraversa le strade.
Senza allegria
“[…] Siete dunque ciechi? Già , tu non sai nemmeno dove ti trovi; te lo dico io, mio caro, quelli hanno gustato tutti il Sacramento del bufalo; stupidi come la terra, sordi come un tronco d’albero, con un’aria terribilmente innocua come l’ultima incarnazione del bufalo: così corretti, a vedersi, così decorosi; ho paura, vecchio mio; nemmeno nel ’35 e nel ’42 mi sono sentita così estranea tra le gente come oggi; può darsi che io abbia bisogno di tempo, ma mi sa che non basteranno secoli per abituarsi a quei visi; persone tanto per bene, tanto a modo, e senza traccia di dolore nel volto; che cos’è mai l’uomo senza dolore? […]”
Altri due personaggi contribuiscono in maniera fondamentale a comporre il mosaico. Uno è Johanna, la moglie del capostipite Heinrich, rinchiusa in una casa di cura per malattie mentali. Le pagine del suo monologo sono tra le più incredibili del libro, strabordanti di una sofferenza commovente e di ficcanti considerazioni, affogate in un delirio cesellato da una lucidità agghiacciante. L’inconciliabilità con la pace artificiale a cui si è giunti la spingerà ad un gesto estremo. Splendide le sue parole sulla popolazione che la circonda, quella grigia fiumana di esseri umani vuoti. In una lettura dei loro gesti, in sintonia con le considerazioni del marito, constata la mancanza di allegria con cui vivono, la serietà con cui prendono qualunque cosa in cui si imbattono. Senza dimenticare la paura che sanno ispirarle, anche chi con il regime non ha avuto a che fare, perché rivede in loro le condizioni che portarono al disastro, lo stesso spirito cieco.
Infine Schrella, l’agnello sacrificale per eccellenza. Un uomo che ha subito perdite incolmabili, che da ragazzo è stato vittima designata della violenza, che è dovuto fuggire per salvarsi la pelle, che ritorna a Colonia solo dopo diversi anni, nella speranza che il tempo abbia messo la giusta distanza da non volgere i ricordi in sentimenti. Il suo sofferto girovagare per la città è un altro momento stupendo del libro, impregnato di una malinconia sconfinata, una spola macabra dell’animo tra presente e passato. Così come è segnante l’incontro con l’ex torturatore, ora persona importante, in un tentativo mal riuscito di riconciliazione superficiale, in un mai riuscito tentativo di vendetta.
C’è molto altro in questo magnifico libro che, senza nessuna esitazione, invito a non perdere.
Heinrich Böll – Biliardo alle nove e mezzo – Mondadori
Traduzione: Marianello Marianelli
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