Salmo, la recensione di Playlist – Verrebbe voglia di parlare male di Salmo, tanto tutti ne parlano bene. Il rapper sardo ha battuto tanti record con la sola uscita di Playlist: primo album su Spotify per ascolti, attenzione mediatica alle stelle, primo singolo 90 min. (di applausi) programmato a bomba da tutti, da Radio Popolare a Radio Deejay, commenti positivi su di lui da Jovanotti fino agli alternativi dei centri sociali. Detto così sembrerebbe che abbiamo trovato il nuovo leader della sinistra, capace di aggregare tutti, dai moderati agli estremisti. Ma Salmo, citando Guzzanti nella celebre parodia di Fassino, credo abbia altro da fare nei prossimi mesi.
Salmo, un successo annunciato?
Detto ciò facciamoci qualche domanda su questo successo, che io definirei annunciato almeno per le carte che ha in mano Salmo. Come lo stesso rapper racconta, in Cabriolet, Salmo nasce dalla scena punk, precisamente nasce batterista di genere, cosa che ascoltando il disco e l’indole si capisce bene, da questa partenza ovviamente il percorso artistico non poteva che essere differente dagli altri suoi colleghi.
Per puro citazionismo, ricordiamo che anche Neffa ormai affermato cantante melodico, tra i suoi inizio annovera quelli come batterista punk, tanto che pare Dave Grohl lo cerchi e chiami non appena arriva in Italia, vista l’amicizia nata ai tempi dei Nirvana, quando il rapper milanese apriva con la sua band il concerto di tre sconosciuti ragazzi di Seattle. Va beh, detto questo, il fenomeno Salmo nasce da lontano ed è cresciuto con grande cura, caratteristiche di cui sicuramente hanno giovato i play di Spotify e la grande attenzione che ha attirato il suo album.
90 min., come già detto, singolo che ha aperto le danze di Playlist, è stano un traino pazzesco: testo perfetto, di critica sociale come si diceva una volta, che descrivendo l’Italia come un misto tra reality show e aereo che sta per cadere, fotografa il paese che viviamo meglio di tanti editoriali viziati da snobismo. Del resto Salmo gioca con la stampa, e fa bene, perché ha capito come un disco oggi (ahimè) per il solo valore artistico non può riuscire nell’impresa di uscire dall’anonimato, perciò è bella, anche se non originalissima, l’idea accompagnata dal Venerdì di Repubblica di far esibire il rapper vestito da barbone in giro per Milano.
La vera sorpresa però arriva quando ascolti Playlist, perché il disco è davvero una bomba esagerata, un bellissimo viaggio per l’Italia di oggi con il naso all’insù.
Tra le tracce migliori dell’album sicuramente Stai zitto con il prezioso featuring di Fabri Fibra, pezzo fantastico che infila una serie di luoghi comuni e banalità della nostra quotidianità. La base di questo pezzo ricorda tanto il miglior rap degli anni ‘90. Cabriolet invece è uno dei pezzi più discussi e discutibili di Playlist, canzone che vede il featuring di Sfera e una battuta sui giornalisti di Rolling Stone (che hanno ricambiato dandogli la copertina), traccia con vaghe sfumature biografiche ma che forse non arriva potente come doveva. Perdonami è il pezzo in cui Salmo riprende maggiormente Gambino, artista ammirato dal rapper e personaggio assolutamente innovativo nel panorama artistico mondiale. Da citare sicuramente anche Dispovery Channel e Ho paura d’uscire, due tracce molto forti e convincenti dal primo ascolto. Sparare alla luna e (soprattutto) Il cielo nella stanza i due episodi lenti e romantici del disco, rispettivamente coi featuring di Coez e Nstasia. Un album che rimarrà nella discografia italiana almeno come simbolo della possibilità di fare un rap diverso e meno banale pur raggiungendo un grande successo.
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